Karl lotta disperatamente contro Craulad nella speranza d'intrattenerlo quel tanto che bastava a Sara per allontanarsi da loro, ma non è forte abbastanza ed è costretto a soccombere sotto i colpi dell'avversario. Lo scontro sembra volgere al peggio per l'uomo dai capelli d'argento, ma proprio mentre sta per cedere, Sara corre in suo soccorso, così grazie ad un attimo di distrazione dell'avversario, fuggono teletrasportandosi il più lontano possibile. Quando Sara riprende i sensi, il padre giace al suo fianco in fin di vita, disperata la ragazza prova a rianimarlo col suo sangue, ma l'uomo l'aggredisce. Una volta ripreso il controllo, Karl decide di prendere le distanze dalla figlia, si rifugiano in un container all'interno di un cantiere edile dove possono recuperare le forze e chiarirsi. Ed ora la storia continua.....
Karl riaprì lentamente gli occhi,
vide il soffitto piccolo e sporco del container, sentiva il rumore assordante
della pioggia che picchiettava sul tetto metallico ed il respiro regolare di
Sara che dormiva a pochi passi da lui. Un sogno? Com’era possibile che un
vampiro sognasse? Eppure era così. Aveva rivissuto un avvenimento del suo
passato, di quando era ancora umano, di quando le sue mani non si erano ancora
macchiate di sangue. Sospirò passandosi una mano tra i capelli. Rhith, sua
moglie era la donna più bella che avesse mai visto in vita sua e Sara le
assomigliava davvero tanto, come lei, aveva dei folti capelli lunghi corvini,
la figura snella e slanciata, la pelle bianca e le guance leggermente
arrossate, solo gli occhi erano diversi, quelli di Sara erano come i suoi,
color ambra, mentre quelli di Rhith erano azzurri come il cielo d’estate. Si
alzò diretto verso la figlia, ora che era priva di sensi, riusciva a sfiorarla
senza timore o forse era colpa di quel sogno, ma sembrava essersi rincuorato.
Doveva proteggerla, era questa la sua missione e la promessa che aveva fatto a
sua moglie, sua madre. “Che sia successo tutto perché ho bevuto il suo sangue?”
pensò perplesso. “Che mi abbia trasmesso i suoi ricordi di quando era un
infante attraverso di esso?”. Si sentiva confuso, sfiorò con un dito le guance
rosee della ragazza e sorrise, poi si sedette accanto a lei per osservarla in
silenzio. La pelle calda, il respiro regolare erano tutte cose che lui ormai
non aveva più, per quanto avesse preservato la sua forma umana, il suo corpo
ormai era morto e non vi era modo per tornare indietro. “Il passato non si può
cambiare” mormorò, “vero, Rhith?” concluse posando il capo alla parete e chiudendo
nuovamente gli occhi.
“Cosa ti è successo?” chiese
Karl notando l’improvviso pallore nel volto della moglie.
“Sto bene, non preoccuparti” tagliò corto Rhith incamminandosi verso le
stanze. Prima di andare a cambiarsi si affacciò nella camera della bambina che
era intenta a guardare un libro illustrano comodamente sdraiata nel letto, il
giorno dopo avrebbe incominciato il secondo anno delle scuole elementari ed era
molto emozionata al pensiero. Sorrise
alla piccola e si spostò nella camera da letto, quando il marito si affacciò
sulla soglia.
“Rhith?”.
“Scusami per prima, è tutto oggi che mi sento nervosa, ho l’impressione
che qualcuno mi osservi di continuo e poi questa continua nausea ed i mal di
testa” sospirò, “non so più che pensare, eppure il dottore ha detto che non ho
niente, ma…”.
“Ora calmati, vedrai che andrà tutto bene. Forse ti sei semplicemente
affaticata troppo in questo ultimo periodo, può succedere”. La donna si lasciò
abbracciare. Sembrava davvero molto scossa e preoccupata, ormai erano mesi che
i mal di testa e le nausee persistevano senza un valido motivo ed erano
entrambi preoccupati, ma Karl doveva farsi vedere forte, se anche lui si
dimostrava apprensivo, la moglie ne avrebbe sofferto di più.
“Mamma? Papà?” li chiamò Sara facendo capolino nella stanza.
“Cosa c’è, tesoro? Vuoi anche tu un abbraccione?” rise il padre sollevandola
da terra. Sara rise aggrappandosi alla maglia del padre, quello per lei era il
periodo più bello della sua vita.
“Uccidimi!”.
Karl aprì gli occhi spaventato,
si guardò di nuovo intorno, aveva di nuovo visto avvenimenti del suo passato e
la cosa iniziava a turbarlo non poco. Guardò Sara che si agitava nel letto
probabilmente a causa di un brutto sogno e provò a svegliarla. Le mise una mano
sulla spalla scuotendola dolcemente, lei aprì gli occhi confusa: “Karl?”
mormorò con un filo di voce.
“Sara?!”.
“Ah, papà!” sussurrò scattando
seduta nel letto, “scusa ho fatto un brutto sogno o almeno credo, perché non
ricordo molto, solo che c’eravamo tu, io e la mamma” spiegò ancora assonnata.
“La mamma?”.
“Si, sembrava un ricordo di
quando era molto piccola, tu e la mamma bisbigliavate tutti agitati nella
vostra stanza ed io mi sono incuriosita, quindi sono venuta a vedere cosa
stavate facendo e…” si bloccò portandosi una mano alla fronte, “…e poi ho
immagini frammentarie, ricorda di aver visto il sorriso della mamma e tu che
piangevi, papà. Non so per quale motivo tu fossi così sconvolto nel sogno, non
ho un’immagine nitida di quei momenti, ma ricordo che si percepiva un’immensa
sensazione di ansia” fece una pausa, “mi sentivo soffocare”. Il padre non disse
nulla, ma l’abbracciò dolcemente come a rincuorarla, mentre la sua mente vagava
immersa nei suoi pensieri. “Che sta succedendo?” si chiese Karl. Lui e Sara avevano
facendo lo stesso sogno anche se con dei piccoli sviluppi diversi, ma com’era
possibile tutto ciò?
“Papà? Chi è Thyra? Ora vuoi
dirmelo? Cosa c’entra lei con noi?” chiese al riparo tra le braccia dell’uomo.
Lui si alzò diretto al fornellino
a gas che fungeva da cucina, prese un pentolino, lo riempì a metà d’acqua ed
accese la fiamma. Prese poi da una mensola una scatola contenente del the in
bustina, ne scelse una a caso e la posò in una tazza pulita.
Sara al caldo sotto la sua
coperta, fissava il padre in silenzio, buttò un occhio all’orologio appeso alla
parete che segnava le 4:20 del mattino, “non ho dormito poi un granché” constatò
tirando le coperte fino a coprirsi il mento. Ormai era abituata ai silenzi del
padre che sembravano dirle: non ora. Non era necessario porre nuovamente la
domanda o aspettarsi una risposta, la cosa probabilmente sarebbe morta li.
“Non ti starai di nuovo mettendo
a dormire?” le chiese l’uomo porgendole una tazza di the fumante. “Tieni,
mangia questi insieme” continuò porgendole una porzione monouso di biscotti
trovati da qualche parte chissà dove nel container.
“Grazie” mormorò Sara. Era
effettivamente molto affamata, ma non voleva certo lamentarsi col padre per una
condizione fisica così imbarazzante in un momento per loro così drammatico. Non
si riusciva a spiegare perché, ma dal suo risveglio, il padre era di nuovo
amabile e rilassato. Non sembrava più terrorizzato al sol pensiero di
rivolgerle la parola e questo la rincuorava. Diete un morso secco ad uno dei
biscotti, il busto dolce ed avvolgente del burro le era sembrava la cosa più
buona sulla faccia della terra.
“Thyra, lei era un vampiro” prese
a parlare il padre fissando un punto imprecisato della parete di metallo di
fronte a loro, “lei era la compagnia di Craulad”.
“Era?” scattò Sara.
“Si. Devi sapere che tantissimi
anni fa, ci fu una lotta fra vampiri di varie razze e ceti. Non si capisce come
sia potuto accadere, ma pare che siano impazziti a causa di un farmaco
sperimentale che alcuni di loro aveva assunto per non doversi sempre cibare di
sangue umano”.
“Perché? Esistono altri vampiri
come te che non amano il sangue umano?” gli chiese con la bocca piena. Karl le
sorrise. La sua curiosità e l’espressione che aveva assunto, le davano un’aria
ancora più da bambina.
“Non ho mai detto che il sangue
umano non mi piace, anzi… è quasi afrodisiaco per noi, ma cibarmi di umani
sarebbe come rinnegare il fatto che anch’io lo sono stato e non posso e non
voglio accettarlo”. Lei annuì in segno di comprensione.
“Comunque i vampiri si erano
suddivisi in due fazioni, coloro che non si cibavano di umani e coloro che
uccidevano senza pietà per nutrirsi. I primi presero contatti con un rinomato
chimico che non esercitava più la sua professione a causa di un incidente da
lui provocato anni prima in cui avevano perso al vita due dei suoi tre
assistenti. L’uomo studiò un farmaco la cui composizione ancor tutt’ora è
ignota, ma non i suoi effetti collaterali. Dopo pochissime assunzioni, i non
mangiatori di uomini iniziarono a dar di matto e ad attaccare i propri simili,
fu così che iniziò la guerra dei vampiri, circa 30 anni fa”.
“Trent’anni?” strabuzzò gli occhi
Sara, sorseggiando il suo the.
“Si, e durò per 12 lunghi anni”
annuì Karl pensieroso. Sara spostò lo sguardo dalla tazza al volto del padre e
poi di nuovo alla tazza. Erano avvenimenti risalenti a prima della sua nascita,
non riusciva neanche ad immaginarsela una guerra del genere. “Tu, hai
partecipato a questa guerra, papà?”.
“No, io all’epoca ero ancora
umano” rispose subito.
“Ma tu quando sei diventato un
vampiro? E chi ti ha trasformato?” fece una pausa, “e perché poi?”.
“E’ stata Thyra, è stata lei a
vampirizzarmi”.
Sara non parlò, ma continuava a
fissarlo in attesa che continuasse il discorso.
“Durante quella guerra i sangue puri
si stavano estinguendo. Tra di essi vi sono alcuni vampiri in grado di
procreare, così decisero di metterli al riparo tra gli umani, sigillando i loro
poteri”.
“Cosa significa?”.
“Significa che erano in tutto e
per tutto degli umani, quindi non erano in grado di essere riconosciuti dai
loro simili e quindi fuori pericolo”.
“Si ma i vampiri in quel periodo
aggredivano anche gli umani, no? Quindi non erano poi così al sicuro” constatò
Sara.
“No, erano troppo impegnati a
mangiarsi l’un con l’altro, il cibo in quegli anni non gli mancava di certo e
poi per un vampiro normale, cibarsi del sangue di un sangue pure è come per un
umano mangiare caviale, è qualcosa di molto pregiato” sorrise tristemente Karl. La ragazza notò
l’improvviso cambio d’espressione del padre, ma preferì non fargli domande in
merito. Il fatto stesso che avesse deciso di parlargliene era già un vero
miracolo, ma ancora non capiva perché la moglie di Craulad lo avesse
vampirizzato, c’era qualcosa che non la convinceva, che le sfuggiva.
“Conobbi Thyra quando era
diventata umana, lei non aveva più memoria della sua vita fino al nostro
incontro e così decisi di prendermi cura di lei ed in poco tempo c’innamorammo”.
“Cosa? Prima della mamma stavi
con una vampira?” scattò in piedi.
“Diciamo di si” mormorò Karl
abbassando lo sguardo. “Ma Craulad tornò a riprenderla, la fece ritornare
normale e lei mi aggredì e così che diventai un vampiro” concluse con aria poco
convinta. Dava l’impressione di non aver detto tutta la verità ed ormai Sara lo
conosceva troppo bene per non intuirlo. Sospirò rimettendosi seduta, prese la
coperta e vi si avvolse pensierosa.
“Qualcosa non va?” chiese il
padre.
Lei fece no col capo. Non voleva
sapere altro, non per ora. Si sentiva ancora un pò debole per quello che era
successo poche ore prima ed aveva deciso di prendere per buono quel poco che il
padre in quel momento si era deciso di confessare. Stando al racconto che aveva
appena sentito, Craulad era mosso da vendetta per amore, la cosa poteva essere
credibile, lei stessa aveva sentito l’uomo pronunciare: “Non esiste pace per
te, ho giurato a Thyra che ti avrei gettato all’inferno con le mie stesse mani
e lo farò, puoi starne certo!”, quindi doveva essere di sicuro vero, ma quindi
Craulad aveva assistito alla morte di Thyra? Ma se così fosse, perché non aveva
provato a salvarla? Ha dimostrato pienamente di essere più forte di suo padre
ed allora perché non era intervenuto in suo aiuto? Mugugnò incrociando le gambe
e stringendosi di più nella coperta.
“Avanti sputa il rospo” sorrise
Karl, “quando stai rimuginando su
qualcosa, aggrotti così tanto le sopracciglia che ti esce un vero solco sulla
fronte” rise posandole un dito proprio nel punto in cui si era formata la
piega.
“Eh? Ma non è vero!” si scostò
Sara tutta rossa in viso.
Entrambi risero e questa volta le
loro erano risate sincere. Fu così improvvisa e naturale come cosa che entrambi
si stupirono del suono che le loro gole emettevano. Quanto tempo era che non
ridevano così? Non riuscivano neanche più a ricordarlo ed a Sara le si spezzò
il cuore. Era di questo genere di momenti che aveva bisogno, eppure per anni
non aveva fatto altro che torturarsi sull’ipotisi più assurde ed improbabili
sulla natura di suo padre. Ipotesi che purtroppo alla fine si erano dimostrate
vere, ma che non riuscivano a darle quel senso di soddisfazione che si prova
quando si ha ragione.
“Senti, posso chiederti ancora
una cosa?”.
“Dimmi”.
“Perché Craulad non ha cercato di
salvare Thyra? Perché la lasciata morire?”.
“Perché pensi che l’abbia
lasciata morire?”.
“Lui ha detto di aver promesso
alla sua compagnia di mandarti all’inferno, no? Quindi immagino che questa
promessa l’abbia fatta quando lei era ancora in vita” mormorò grattandosi lo
zigomo.
Karl esitò, sembrava non sapesse
neanche lui come rispondere, si schiarì la voce: “No, Thryra morì tra le mie
braccia, fu lei a darmi l’anello che porto alla mano destra” risposte
mostrandole la mano. “Mi disse di non separamene mai”.
“E perché? Eri un suo nemico! E
lei ti aveva trasformato in un vampiro, quindi perché hai tenuto un suo
oggetto?” scattò visibilmente indignata.
“Perché ci amavamo, te l’ho
detto”.
“Quindi l’ami ancora? Più della
mamma?”.
Karl esitò davanti alla figura
snella e tremante della figlia che non riusciva a mascherare il suo disappunto,
il viso aveva preso colore e gli occhi erano lucidi, sembrava sul punto di
piangere da un momento all’altro ma, come sempre, riusciva a mostrare una
fierezza senza pari mascherando il suo lato infantile quando più ce n’era
bisogno.
“Sara, ascolta…”.
“No, non voglio sentirti dire che
l’ami ancora! Non voglio saperlo! Quello che voglio sapere è perché non getti
quello stupido anello? A che ti serve tener fede alla promessa fatta ad una
persona che voleva ucciderti? Che ti ha condannato ad un esistenza buia e
solitaria?” sbottò a voce alta.
“Ci sono cose che non puoi
capire”.
“Certo! Io non posso mai capire,
vero? Ma è ovvio che non posso se tu non mi spieghi, ti sembra? Cos’aveva lei
di così speciale? Nei vari racconti dell’orrore, si dice che i vampiri hanno un
potere ammaliatore, vorresti dirmi che sei stato ammaliato dalla sua bellezza?
E’ così?” continuò ad urlare Sara ormai senza controllo. Karl non disse nulla,
ma la prese per i polsi tirandola a se. Lei si dimenò irritata: “lasciami!”
urlò cercando di liberarsi, ma l’uomo non mollava la presa.
“Se non riesco a dirti questa
cosa, è perché per me è ancora una ferita aperta” le sussurrò all’orecchio.
“Ti ho detto di lasciarmi!”. Il
respiro si era fatto irregolare.
“Ascoltami, un giorno ti parlerò
più approfonditamente di questa storia, ma ora non sei ancora pronta”.
“Perché?” scattò aggrappandosi
con forza alla maglia del padre. “Non capisci come mi sento? Io ho perso tutto!
Mia madre, la mia casa, i miei amici, ma non ero triste, perché avevo te, ma
ora…” fece una pausa singhiozzando, “ora, se tu te ne esci con un discorso del
genere, scusami ma per me è davvero troppo! Io ti amo profondamente papà, lo
sai, ma non posso perdonarti quello che hai appena detto” continuò alzando
gradualmente la tonalità della voce. “Io ti odio! Ti odio!” urlò tirandogli un
pugno sul petto, tanto forte da provocare un suono secco, ma l’unica a farsi
male fu proprio Sara che si accovacciò in terra reggendosi la mano.
“Sara!”.
“Non toccarmi!” urlò in lacrime
ed uscì di corsa dal container.
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