sabato 14 febbraio 2015

LITTLE SECRET - cap. 5 - (RACCONTO)

DOVE ERAVAMO RIMASTI:
Lo scontro con Craulad all'interno della scuola, lascia nel corpo e nell'anima di Karl ferite molto pesanti. Giunto a casa è costretto a sostenere una discussione con Sara che si conclude in malo modo. Al risveglio i due si chiariscono, Sara ormai sa e Karl non può più occultare informazioni sulla sua vera natura, ma mentre i due parlano sopraggiunge Craulad. Riusciranno a sfuggirgli anche stavolta? Leggete e lo saprete ;)


I capelli argentati di Karl brillavano del riflesso di quei pochi raggi di sole che filtravano dalla finestra aperta da Sara, le mani ben serrate intorno al collo di Craulad. L’avversario era immobile, il sorriso sornione che era solito sfoggiare,  era svanito dietro una maschera di dolore e stupore. Non si sarebbe mai aspettato da Karl un comportamento così avventato, lasciare da sola l’umana per provare un attacco suicida.
“Stai imparando a reagire, Karl. Questo tuo non arrenderti mai al fato mi piace, è degno di te, devo riconoscerlo…” mormorò afferrando l’avversario per i polsi, “ma non sei abbastanza forte, per fermarmi!” concluse sferrandogli una potentissima ginocchiata allo stomaco.  Karl soffocò un urlo, si piegò istintivamente in avanti, poi caricò di testa l’avversario colpendolo al petto. Craulad barcollò e l’altro ne approfittò per piazzarli dei pugni ben assestati al volto. Uno. Due. Tre pugni. Il suono provocato da quei colpi era assordante, sembrava il rumore che fa una macchina quando si schianta contro un muro. L’uomo vestito di pelle volò dall’altra parte della stanza schiantandosi contro un muro, sfondandolo. Polvere e calcinacci invasero il soggiorno, ma non aveva tempo di preoccuparsi della casa, doveva neutralizzare in fretta il suo avversario e raggiungere Sara. Serrò nuovamente i pugni, pronto a scagliarsi contro l’uomo che era rimasto nello squarcio del muro con le gambe a penzoloni. Era vicino ad afferrarlo per l’altro, quando Craulad si levò in aria con un balzo fulmineo atterrando alle spalle dell’altro.
“Tutto qui quello che sai fare?” chiese sputando un grumo di sangue. Si pulì col dorso della mano la bocca e sospirò, “non ci siamo, non ci siamo proprio. Hai versato il mio prezioso sangue, lo sai che significa?” tuonò, ma Karl non rispose e si scagliò nuovamente pronto a trafiggerlo con le unghie che erano diventate lunghe come artigli. Ma il nuovo attaccato non sortì l’effetto sperato dato che il suo avversario si scansò evitando il colpo diretto al torace, ma non riuscì ad evitare la seconda artigliata che lo colpì al braccio. Brandelli di pelle, tessuto e sangue volarono sul pavimento, Craulad indietreggio tenendosi il braccio ferito, mentre Karl, come se fosse posseduto dal dio della guerra, si scagliò nuovamente contro di lui puntando questa volta alla gola.
“Ora mi hai stancato!” urlò Craulad afferrando al volo l’avversario per poi schiantarlo di viso nel pavimento che si sbriciolò sotto la potenza del colpo. “Sei ridicolo!” rise afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra, “nonostante la tua trasformazione sia avvenuta diversi anni fa, ti ostini ancora a combattere come un umano?” lo strattonò con forza. Karl gemette, il viso ricoperto di frammenti di ceramica del pavimento e sangue. “Se vuoi davvero fermarmi, devi combattere come quelli della tua specie” suggerì Craulad  stringendo con forza la presa fino a fargli penetrare le unghie nelle carni. Piccoli rivoli di sangue sgorgarono dalle ferite. Karl era visibilmente provato. Non si era ancora ripreso completamente dalle ferite della sera precedente, la perdita di altro sangue per lui poteva essergli fatale.
“Io non voglio combattere” sussurrò Karl con un filo di voce. “Voglio solo che mi lasci in pace”.
“Lasciarti in pace dopo quello che hai fatto?” rise di rimando il suo aguzzino. “Non esiste pace per te, ho giurato a Thyra che ti avrei gettato all’inferno con le mie stesse mani e lo farò, puoi starne certo!” concluse scagliandolo contro la parete del soggiorno che si sgretolò sotto la potenza di Craulad neanche se fosse stata fatta di burro. Karl gemette, era esausto. Il dolore l’aveva intorpidito ed i sensi sembravano abbandonarlo, ma non poteva ancora darsi per vinto, se lui si fosse arreso, con molta probabilità Craulad sarebbe andato di filato da Sara, non comprendeva bene il perché, ma sembrava che ormai il suo avversario avesse deciso di porre fine a quell’insana guerra che ormai portavano avanti da anni, da quando Thyra era morta. Raccolse a se le forze per rimettersi in piedi, ma in quel momento Craulad si scagliò su di lui atterrando direttamente sul suo ventre ed infossandolo ancor di più nel terreno. L’urlo di Karl fu improvviso e lancinante, non si aspettava tanta potenza e ne fu sopraffatto. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, mentre il suo avversario continuava a colpirlo ripetutamente con calci e pugni, ancora una volta si stupì del fatto che non sembrava stesse cercando di ucciderlo, ma bensì di neutralizzarlo. La vista gli si era offuscata, la polvere s’immischiava agli schizzi di sangue che imbrattavano le pareti ancora integre della casa. Ci aveva provato con tutto se stesso, ma il suo corpo non era ancora rigenerato appieno, Craulad aveva ragione, per rigenerarsi a dovere e recuperare appieno le forze, avrebbe dovuto nutrirsi di sangue umano, ma come avrebbe potuto macchiarsi di un tale scempio? No, non poteva farlo! Ne ora ne mai!
“Non vorrai mica dormire qui?” lo scrollò Craulad alzandolo da terra. “Nel momento in cui perderai i sensi, io andrò a prendere la tua preziosa figlia, lo sai?” sorrise deliziato. Karl non aveva più neanche le forze per rispondere, era sfinito, il corpo ricoperto di ferite e tremante. L’unica sua consolazione era che sua figlia a quest’ora doveva essere già lontana quanto basta. Un assordante rumore metallico lo fece trasalire. Aprì lentamente gli occhi e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.
“Metti subito giù mio padre, mostro!” urlò Sara armata di una pala che si usano solitamente per spalare la neve. La reggeva con entrambe le mani, il viso arrossato a sprazzi, le  mani tremanti per lo sforzo di aveva appena colpito Craulad alla schiena, che pareva non essersene neanche accorto. “Lascialo!” ribatté caricando un altro colpo, ma questa volta l’uomo la blocco afferrando l’improvvisata arma dal manico. La ragazza si dimenò cercando di liberare l’arma dalla presa del suo avversario, ma senza risultato, la forza con cui Craulad stringeva la pala era mostruosa. Con la coda dell’occhio guardò il padre sofferente e ricoperto di sangue ed una rabbia incontenibile le salì fino al cervello, quello che stava succedendo era assurdo ed inconcepibile, strinse forte i denti e riprese a strattonare con forza affinché il vampiro lasciasse la presa.
“Sara… Sara scappa” mormorò debolmente il padre.
“No, io non ti lascio!” ribatté la giovane continuando a dimenarsi.
“Proprio divertente” rise Craulad, “hai fatto di tutto per cercare di tenermi lontano da lei, per farla scappare lontano e la tua protetta e qui convinta di poterti salvare” rise ancora più forte, “sei proprio sfortunato Karl” concluse lasciando andare la pala. Il gesto improvviso colse impreparata Sara che cadde interra.
“Sara!!” urlò il padre ancora vittima della stretta mortale del suo avversario.

“Se proprio ci tieni” mormorò l’altro, “vai a far compagnia a tua figlia!” concluse lanciando l’uomo contro la ragazza che era rimasta in terra. Un enorme nuvola di polvere si alzò dal pavimento che prese a vibrare. Craulad sorrise sornione come di suo solito, già si assaporava la scena che sarebbe apparsa davanti ai suoi occhi nel momento in cui il muro di polvere si fosse dissolto, ma improvvisamente si rese conto di un particolare gravissimo, non avvertiva più l’odore di Sara. Con un ambio gesto del braccio creò un vortice d’aria che spazzò via in un istante la polvere ed alcuni detriti, li, dove avrebbero dovuto esserci il padre con la figlia, vi era rimasta solo una pala sporca di sangue. Karl era riuscito a teletrasportarsi nonostante le sue ferite, ancora una volta, era riuscito a giocarlo. Un urlo di dolore e rabbia si alzò al cielo, Craulad era furioso, non avrebbe dovuto commettere un errore tanto sciocco. Strinse i denti con forza. Karl era riuscito a giocarlo e questo l’avevo punto nel vivo, era la prima volta che qualcuno riusciva a fargliela. Era adirato, ma al tempo stesso compiaciuto, si aspettava grandi cosa dall’uomo che aveva visto nascere come vampiro e che avrebbe provveduto in prima persona ad eliminare. Si scrollò la polvere di dosso, la ferita al braccio si era già di nuovo rimarginata, prese una sigaretta dal pacchetto, l’accese ed espirò con espressione sollevata. La caccia era appena iniziata.
In pochi istanti, il debole sole che nel mattino aveva scaldato la città ancora  addormentata era sparito lasciando il posto a pesanti nuvole cariche di pioggia. Nascosta nel cantiere di uno stabile in costruzione, al riparo sotto alcune travi di sostegno, Sara attendeva il risveglio del padre che, dopo averli teletrasportati il più lontano possibile da Craulad, era stramazzato al suolo esanime. Prese il fazzoletto che aveva in tasca, lo bagnò di pioggia e lo posò sugli occhi chiusi dell’uomo che non dava segni di vita. Era immobile, il volta scarno dalla sofferenza e bianco più del solito, le labbra livide, gli occhi serrati come se stesse sognando qualcosa di orribile, ma non erano i sogni a turbarlo, bensì le molteplici ferite che gli erano state inferte senza alcuna pietà. Sara fissava il volto del padre con sguardo preoccupato, si chiedeva quando e se si sarebbe risvegliato. L’aria era fredda, aveva i vestiti sporchi e bagnati di pioggia ed una fame smisurata, così si rannicchiò quanto più le fu possibile vicino al corpo dell’uomo. Si chiedeva perché, il corpo umano dovesse essere così esigente anche in situazioni del genere, l’ultimo dei suoi pensieri era mangiare, eppure il brontolio del suo stomaco, sempre più insistente, le ricordava ogni minuto che il suo fisico aveva un gran bisogno di nutrimento. Sospirò. Avrebbe tanto voluto che il padre si svegliasse. Doveva ancora chiedergli tante cose, ma soprattutto una le era rimasta molto impressa: Chi era Thyra? Perché quando Craulad l’ha nominata, si è lasciato scappare un urlo di dolore. Era una donna? Un uomo? O forse era un vampiro come loro? E lei? Era anche lei un vampiro? Come poteva essere sua figlia? I vampiri possono avere figli? Mugugnò nervosamente scompigliandosi la capigliatura, troppe domande tutte insieme e nessuna risposta concreta. Ora l’unica cosa che poteva fare era stare al fianco del padre, non poteva far altro. Dal suo nascondiglio fatto d’acciaio, scrutava i nuvoloni grigi che soffocavano il cielo, il rumore della pioggia la rilassava, il suo profumo le riempiva i polmoni, donandole sollievo. Non riconosceva il paesaggio che le si apriva intorno, si chiese se fossero ancora nella sua città o se il padre li aveva portati in un'altra cittadina lontana da casa. “Casa?” Pensò con un amaro sorriso, ormai lei non aveva più una casa, lo scontro con Craulad l’aveva demolita in parte, anche volendo tornare, non poteva più farlo.
“Papà?” provò a chiamarlo con un filo di voce, ma lui non rispose. Non c’era respiro nel suo petto, né battito, eppure era certa che fosse ancora vivo, doveva essere così. Prese il fazzoletto che gli aveva posato sugli occhi con l’intenzione di andarlo a sciacquare.  A pochi passi dal tetto di travi, c’era una vecchia tanica piena d’acqua piovana. Immerse il fazzoletto pensierosa, sciacquandolo più volte. Non aveva la minima idea di come si curava un vampiro, si sentiva impotente. Un topolino le scorrazzò vicino i piedi facendola letteralmente saltare dallo spavento. Non si aspettava di trovare un animale in un cantiere edile e la cosa la fece sorridere, ma il suo viso divenne subito cupo. Un’idea si stava facendo strada nella sua mente: sangue! Come aveva fatto a non pensarci prima? Suo padre aveva bisogno di sangue per riprendersi, l’aveva detto anche Craulad ed il sangue animale non era sufficiente a rigenerare i tessuti, ma come e dove poteva trovare del sangue senza fare del male a nessuno? Chiedere ad un ospedale sarebbe stato impossibile, non danno il plasma al primo che lo chiede e poi, non sapeva neanche dove si trovava, come avrebbe potuto trovare un ospedale nelle vicinanze? Sospirò, per quanto si sforzasse di pensare ad una soluzione, non vi era nulla che lei potesse fare, eppure… si guardò improvvisamente i polsi ed un’idea insana iniziò a frullarle nella mente: e se gli donassi un po’ del mio sangue? Questa idea, per quanto assurda, sembrava la cosa più ovvia e logica da fare, ma come ferirsi fino a sanguinare, ma al contempo preservando la sua salute? Non aveva armi con se, ne cutter o altro. Si guardò nuovamente intorno, il terreno fangoso che si estendeva intorno a lei, non sembrava fornirle nessuna soluzione concreta. Corse nuovamente dall’uomo ancora privo di sensi: “papà” lo chiamò con voce alta e ben impostata, ma come prima, non ci fu nessuna risposta. “Avanti papà, mordi!” lo incitò posandogli il polso sulle labbra, ma non successe nulla. Sentiva le lacrime salirle agli occhi dal nervoso e dalla frustrazione, strinse i denti mugugnando, si rimise in piedi e corse nuovamente sotto la pioggia battente alla ricerca di un oggetto contundente in grado di lacerarle le carni, ormai aveva deciso, solo lei poteva salvarlo. In lontananza vide il capanno che gli operai usano come ufficio, corse come una furia, ma la porta era chiusa a chiave con un enorme catena a fargli da sostegno. Strattonò con forza la catena, ma non ottenne nulla. Non era in grado di tagliarsi da sola, figurarsi di rompere una catena a mani nude. Per la prima volta, si rese conto di quando inutile fosse la tua presenza li in quel momento. “Apriti, maledetta, apriti!” urlò sbattendo con rabbia i pugni contro la porta, ma ogni tentativo era vano, la struttura non sembrava intenzionata a cedere. Trovò un sasso molto grosso e prese a colpire il lucchetto, la fame e lo sforzo la stavano logorando, era sfinita, ma l’adrenalina era una gran bella cosa in quei casi, grazie ad essa riusciva a stare in piedi, nonostante la stanchezza. Colpì con tutte le sue forze, una, due, tre volte, ma il lucchetto, per quanto mostrasse segni di ammaccatura, non sembrava intenzionato a cedere.
Ansimava, il viso coperto dai capelli che, bagnati, le si erano appiccicati sulle guance e sulla fronte, ormai non capiva più se quello che le inumidiva il  viso fosse pioggia o sudore, l’unica cosa certa era che non avrebbe smesso di provare finché non fosse riuscita a far cedere quella maledetta catena. Di tanto in tanto, lanciava un’occhiata al padre oltre la duna di sacchi di cemento che non si muoveva di un millimetro ed in quei momenti i suoi colpi risultavano più forti e carichi. Improvvisamente un pezzo della porta in plastica spessa esplose in un sorto boato sotto i colpi della ragazza, finendo travolta da una pioggia di schegge di plastica che facevano parte della porta dell’ufficio. Sara urlò spaventata e d’istinto balzò indietro alzando le mani per coprirsi gli occhi e finì seduta nel fango.
“Bene! Ma che meraviglia!” sbraitò ansimante, “ci voleva solo questo, che schifo!” continuò avviandosi alla tanica di acqua piovana per sciacquarsi il viso e le mani. Immerse le mani e si accorse di avere qualcosa nel dito indice che le provocava un fastidioso dolore. Guardò meglio e vide una scheggia di plastica conficcata tra il dito indice e il dito medio della mano sinistra.  Prese la scheggia coi denti e la sfilò con decisione soffocando un urlo di dolore, a quanto pare era finita molto in profonda e dalla mano iniziò ad uscire del sangue.
“Ce l’ho fatta!” pensò in un attimo di esaltazione, nonostante il dolore era riuscita a procurarsi del sangue, suo padre era salvo! Si voltò in direzione dell’uomo, ma sul giaciglio non c’era più nessuno, confusa si guardò intorno quando sentì un respiro alle sue spalle, si voltò ed incrociò lo sguardo con una creatura dai capelli argentati e dagli occhi dello stesso colore del sangue.
“Pa…” mormorò Sara, ma non fece in tempo a finire di parlare che l’uomo la colpì al petto facendola volare sotto il tetto di travi dove fino a pochi secondi fa, vi era il corpo esanime del padre. Il dolore fu intenso e lancinante tanto da bloccarle il respiro. Rimase a terra tossendo più volte e cercando di riprendere fiato. Per tutto quel tempo non aveva fatto altro che preoccuparsi di far risvegliare il padre, ma aveva fatto un errore, non aveva messo in preventivo “come” si sarebbe svegliato.
“Papà?” mormorò tremante. Non aveva la forza di rimettersi in piedi, la paura la bloccava al terreno come una possente forza misteriosa. Dall’altra parte l’uomo non profilava parola, la fissava con lo sguardo di un predatore che ha appena avvistato la sua preda, in quel momento non c’era suo padre davanti a lei, ma un vero vampiro, una creatura della notte che si nutre del sangue degli umani e che in quel momento vedeva in lei solo una fonte di nutrimento. Era in pericolo!
“Papa?” chiamò con più tono, “sono io, Sara. Non mi riconosci?” chiese ansimante. L’altro ringhiò avanzando lentamente verso la ragazza che strisciando sulla schiena, cercava di allontanarsi come meglio le era possibile dal suo aggressore. Karl spiccò un balzo atterrando a pochi centimetri dal volto dalla figlia che si lasciò scappare un urlo di terrore. Afferrò la mano ferita ed iniziò lentamente a leccarla. Lei strinse gli occhi irrigidendosi. Stava giocando con lei. Avrebbe potuto ucciderla subito, ma sembrava si stesse divertendo a torturarla. Le lacrime presero a bagnarle il viso tremante. Non aveva mai avuto tanta paura come in quel momento.
Il vampiro leccò minuziosamente l’intera mano fino al polso non lasciandosi sfuggire neanche una goccia, non appena dalla ferita sgorgava altro sangue lui lo raccoglieva nella lingua assaporandolo in un’atto di libidine che andava oltre ogni sua previsione. Non aveva mai provato nulla del genere. Il sangue umano era il nettare che aveva sempre ambito, ma che non aveva mai avuto il coraggio di assaporare, almeno finché Craulad non gli aveva fatto assaggiare quello del neonato, ma questa volta era diverso, molto più corposo e profumato. Quel profumo così delicato, ma al tempo stesso intenso gli provocava nostalgia, il suo cuore conosceva quella fragranza, ma non riusciva a ricordarsi a chi appartenesse, ora voleva solo bere altro sangue. Sentiva i tessuti rigenerarsi e le forze tornare ad irrobustire il suo corpo ed il suo animo. L’elisir di lunga vita dei vampiri, una bevanda a cui lui aveva rinunciato fino allo sfinimento. Non voleva essere come gli altri, lui era diverso. Lui aveva qualcuno da proteggere, qualcuno che l’amava e che lui amava. Qualcuno a cui mai avrebbe fatto del male. Ma chi era questa persona? Si bloccò ansimante, mentre con una mano scostò delicatamente il capelli dal collo della ragazza che dalla paura non riusciva a muovere un muscolo. Le sorrise compiaciuto, con un sorriso che Sara non gli aveva mai visto e, leccandosi le labbra, come se già stesse assaporando il momento in cui avrebbe affondato i suoi canini nel corpo della sua preda, prosciugandola fino all’ultima goccia. 
“Se starai ferma così, non sentirai nulla” le sussurrò con voce glaciale.
“Papà” singhiozzò di risposta Sara chiudendo gli occhi.
Il vampiro fece un respiro profondo e si scaglio sulla giovane con la bocca aperta ed i canini ben in vista.
“PAPA’!!!” urlò. Karl si bloccò ed un piccolo barlume di lucidità affiorò nella sua mente.
“Ti supplico non farmi del male, papà” si sentì implorare da una voce flebile e rotta dal pianto. Guardò sotto di lui e vide ciò che mai avrebbe voluto vedere in tutta la sua vita: Sara era distesa immobile sotto il suo peso, una mano sul visto tremante e bagnato di lacrime, l’altra sorretta nella sua che stringeva con forza affinché l’emorragia non si fermasse. Stava aggredendo sua figlia, la sua bambina.
“No!!” urlò improvvisamente, facendo un enorme balzo indietro. I suoi capelli erano di nuovo neri, gli occhi erano tornati del colore dell’ambra, anche se in quel momento tremavano dallo shock per quello che aveva appena fatto. “Sara” mormorò coprendosi il viso con le mani tremanti.
La ragazza rimase sdraiata alcuni secondi, come per riprendere fiato, era ancora stordita dall’orribile esperienza, nella sua mente, gli occhio color rubino, lo sguardo eccitato del padre intento a cibarsi del suo sangue, erano impressi a fuoco. Aveva paura. Ma ora, quello che più aveva paura di se stesso era l’uomo chiamato Karl. Raccolse a se tutte le sue forze, si alzò col busto in modo da restare seduta eretta, dall’altra parte sotto la pioggia battente, il padre era rimasto tremante e rannicchiato in un misto di dolore e terrore.
“Papà?” chiamò allungando d’istinto la mano verso di lui.
“Perdonami, perdonami, perdonami” continuava a mormorare l’uomo come una preghiera. Le ferite del suo corpo e del viso sembravano essere guarite, Craulad aveva ragione, il sangue umano era il loro miglior elisir, alla fine era riuscita ad ottenere quello che voleva, eppure tutta quella storia le lasciava l’amaro in bocca. Non poteva lasciare le cose così. Ora più che  mai dovevano restare uniti.  Si alzò barcollante, la mano ed il petto le facevano male, ma non se ne curò e, strascicante, si avviò verso Karl che continuava a ripetere come un sutra la sua preghiera di perdono.
“Non ti avvicinare!” urlò terrorizzato. Aveva ancora in bocca il dolce sapere del sangue ed una parte di lui era ancora pronta a prendersi con la forza, ciò che la ragione gli aveva impedito di fare. “non ti avvicinare, Sara!” continuò come impazzito.
“Va tutto bene papà” sorrise lei col cuore in gola, “non mi farai del male, andrà tutto bene, vedrai”.
“No! Vattene, ti prego!”.
“Papà, tu non mi ucciderai” sorrise debolmente, “l’avresti già fatto, non credi? Non preoccuparti, ora dobbiamo restare uniti, o …” si bloccò, aveva perso troppo sangue ed iniziava ad avere le vertigini, barcollò reggendosi la testa, “papà” mormorò confusa, poi cadde a terra priva di sensi.
“Sara!” accorse Karl afferrandola un secondo prima che la ragazza toccasse il suolo, “Sara, rispondi!” chiamò inutilmente, ma Sara non dava cenni di risveglio. Così l’abbracciò dolcemente, lasciando che la pioggia inondasse entrambi purificandoli dall’interminabile giornata che li aveva  messi a dura prova e che ancora non era finita.
Quando Sara riprese i sensi era ormai notte fonda. Era distesa in una branda con addosso alcune coperte, la sua mano era stata medicata, ma si sentiva ancora tanto debole e le faceva male la testa. Si guardò intorno, il soffitto era piccolo, basso e sporco. Accanto a lei un piccolo comodino improvvisato con delle casse di legno vuotate e girate al contrario, su di esso, una bacinella con dell’acqua fresca ed un pezzo di stoffa che usciva per metà dall’acqua. Segno che qualcuno si stava prendendo cura di lei. Vi erano anche delle scatole di medicine e qualche altro oggetto che con molta probabilità appartenevano al vero padrone di quel posto. Aveva la gola secca e dolorante al punto che non riusciva a parlare. Cercò di sedersi, ma era troppo debole ed il più piccolo movimento le costava uno sforzo smisurato. Fermo in un angolo, al riparo dei bagliori della lampada, vide suo padre. Era seduto in terra, le ginocchia contro il petto ed il viso appoggiato su di esse. Sembrava stesse dormendo, ma Sara era sicura che più che dormire, in quel momento suo padre si stava torturando dai rimorsi e dai sensi di colpa.
“Papà” sussurrò con un filo di voce. Lui alzò il capo. Il suo sguardo era triste ed inespressivo, tanto che alla ragazza vennero i brividi. “Dove siamo?” provò a chiedergli sperando di spronarlo da quello stato catatonico, ma Karl non rispose subito e riprese a fissare il pavimento sporco di terra e fango.
“Nel container che gli operai usano da ufficio” mormorò lui dal suo cantuccio. Lei riprese a guardare il soffitto, sentiva il corpo pesante e dolorante. Ricordava tutto quello che era successo, il suo disperato tentativo di salvare il padre, la sua aggressione da parte di quest’ultimo, il colore dei suoi occhi scintillanti dall’eccitazione. Chiuse forte gli occhi, come a voler scacciare quei terribili momenti dalla sua mente.
“Mi dispiace per prima” mormorò Karl con sguardo spento. “Ti ho fatto una cosa orribile e poteva andare anche peggio, sono un mostro. Perdonami, ti prego” concluse passandosi una mano nei capelli.
“Non ce l’ho con te. Era il mio obiettivo fin dall’inizio” sorrise Sara. Karl la guardò sorpreso. “Sapevo che stavi molto male, ma non avevo la minima idea di come fare a curare le tue ferite, così ho ripensato alle parole del professor Craulad a proposito del potere di guarigione che sprigiona il sangue quando entra in circolo, quindi ho cercato disperata un modo per ferirmi quel tanto che bastava per farti bere il mio sangue” fece una pausa fissandosi la mano fasciata, “certo, alla fine mi sono fatta male accidentalmente, ma direi che è servito lo stesso a qualcosa, no? Tu ora stai bene, vero?” gli sorrise debolmente.
“Sei impazzita?” urlò Karl tremante di rabbia. “Ti rendi conto di quello che hai fatto? Potevo ucciderti!”.
“Si, ma non l’hai fatto” sorrise nuovamente la figlia, “io ho fiducia in te, papà. So che non mi farai mai del male”.
L’uomo non credeva alle sue orecchie, sua figlia aveva messo a repentaglio la sua stessa esistenza solo per provare a salvarlo, per salvare una persona che ormai era morta da tempo. Scosse il capo sconcertato, sentiva il corpo vibrare con forza dalla rabbia, avrebbe voluto prendere a pugni qualcosa per calmarsi, ma se l’avesse fatto, con molta probabilità, avrebbe distrutto il loro rifugio. Lei aveva fiducia? Eppure quando ha riacquistato la ragione, sua figlia piangeva supplicandolo. Quello che aveva visto in Sara in quel momenti non era fiducia, ma terrore. Giocava ad essere forte per non ferirlo nonostante in quel momento non era riuscita a dimostrarlo.
“Sei arrabbiato con me?” chiese infine la giovane ancora distesa sulla branda con lo sguardo rivolto al soffitto. L’altro scosse il capo serrando i denti.
“E allora perché non ti avvicini?” continuò Sara con disinvoltura.
“Perché non voglio farti del male” rispose Karl  col capo chino. “ Tu ora hai paura di me, vero?” ribatté.
Sara rimase in silenzio per qualche istante, sembrava stesse scegliendo con cura le parole giuste per ribattere all’osservazione dell’uomo che le era dinnanzi. Anche se era sdraiata, percepita il senso di debolezza e nausea, ma ancora di più sentiva nascere in lei un senso di disagio e d’impotenza. Entrambi erano molto testardi e fermi nelle loro idee, discutere tra loro non avrebbe portato a nulla di buono, ma non voleva, non poteva permettere di ferire il padre più di quanto non avesse già fatto involontariamente. “Sei sicuro di aver formulato bene la domanda, papà? Perché vedi, sono convinta che tra i due, quello che ha più paura in questo momento sei tu. Io non ho paura di te, te l’ho già detto prima. Tu sei mio padre, colui che mi ha dato la vita, colui che amo dal profondo del cuore. Noi siamo come una cosa sola papà, lo so che alle orecchie degli estranei può sembrare strano, ma io sono sempre stata molto legata a te come tu lo sei a me, tra di noi a volte non serve neanche parlare eppure ora è così difficile comprenderci” fece una pausa, “perché?” chiese, ma Karl ebbe la sensazione che più che chiederlo a lui, lo stava chiedendo a se stessa.  
“Forse hai ragione tu” ammise in un sospiro il padre. “Sorse tra i due quello che è più terrorizzato sono io, ma come posso non esserlo? Sei così fragile. Ogni volta che ti abbraccio devo far attenzione a non romperti e sapere cosa stavo per farti, mi ha spaventato a morte”.
“Io, fragile?”.
“Sei umana è normale che tu sia fragile rispetto a me che non lo sono più”.
Sara ci pensò un po’ su, ripensò allo scontro che era avvenuto tra Craulad e suo padre, al rumore assordante che i loro corpi provocavano ogni volta che si scontravano, come se fossero fatti di roccia. “Tu hai detto che il professor Craulad mi vuol far del male per punire te, giusto?” chiese.
“Si, è così”.
“Perché? Cos’è successo tra di voi? Cosa potrai mai avergli fatto di così grave da meritare tutto questo?”.
Karl osservò la figlia, “non posso dirlo, scusami”.
“Perché?” chiese la ragazza osservando i movimenti del padre, che nervosamente, aveva preso a camminare nella piccola stanza. Con difficoltà si mise seduta, voleva in qualche modo allentare la tensione che si era creata tra loro, nonostante riuscissero a comunicare anche se a tratti, entrambi erano troppo stanchi e incapaci di scrollarsi tutte le orribili cose che erano successe nelle ultime 24 ore.
“Ho avuto un idea! “ scattò con un sorriso. Karl la fissò incuriosito. “Se Craulad vuole uccidermi per far del male a te,  allora basta che  tu mi trasformi in vampiro, così lui non potrà più farmi del male, no? Pensaci, avrei un corpo forte e resistente come il tuo, non potrebbe più uccidermi” concluse con entusiasmo.
 “Ma a quel punto sarei io ad ucciderti” sorrise tristemente.
“Non capisco” mormorò Sara. “Tu non mi ucciderai, mi trasformerai solo in vampiro e vivremo insieme per sempre, per tutta l’eternità”.
“Sara, essere un vampiro e morire, è la stessa cosa. L’hai detto anche tu stamani, non c’è battito nel mio petto e se non c’è battito, non c’è vita. Io sono già morto e non voglio che anche tu faccia la mia stessa fine”. Lei lo guardò negli occhi, si rese conto di aver detto una cosa assurda e se ne vergognò terribilmente, come aveva potuto dire una frase del genere? “Scusami, ho detto una sciocchezza” chinò il capo mortificata.
“Tieni” sorrise il padre porgendole una tazza di brodo bollente, “purtroppo è una di quelle minestre istantanee, non avevano altro qui in dispensa, ma almeno ti scalderà”.
“Tu non mangi?”.
“Io non ne ho bisogno” sorrise nuovamente ritornando a sedersi nel suo angolo. Non riusciva ancora ad assumere un atteggiamento disinvolto con lei, il timore che l’odore del sangue potesse fargli di nuovo perdere la testa, lo terrorizzava. Sara bevve a piccoli sorsi la minestra in silenzio, il suo tentativo di avvicinarsi al padre era fallito, anzi era convinta di aver addirittura complicato le cose.
“Chi è Thyra?” chiese tenendo lo sguardo nella tazza svuotata di una metà.
“Colei che mi ha trasformato in vampiro”.  Sara sgranò gli occhi ed alzò il capo. Il padre era sempre li, composto al suo posto con lo sguardo triste e la mente chissà dove.
“E…” stava per continuare, ma Karl la bloccò: “ora basta con le domande, Sara. Devi riposare”.
“Ma non ho sonno e poi voglio ascoltare la tua storia” ribatté posando la tazza vuota sul comodino rudimentale. Inaspettatamente il padre si alzò diretta verso di lei, Sara lo guardò con stupore e perplessità, ma quello che più le sembrava strano, era il fatto che non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
“Papà?”.
“Ora dormi” le sussurrò continuando a mantenere il contatto visivo. Pian piano il sonno iniziò a farsi sentire, era intorpidita, gli occhi del padre scintillavano di una luce misteriosa, le stava facendo qualcosa, era chiaro, ma non aveva le forze per opporsi, così si lasciò sopraffare dalla sonnolenza e si addormentò.
La pioggia aveva ripreso a battere con forza sul tetto fatto di lamiera del container in cui Sara e Karl si erano rifugiati. Seduto nel suo cantuccio, Karl osservava il respiro regolare della figlia immersa in un sonno profondo e senza incubi. Ripensava a tutto ciò che era successo, la confessione, la lotta con Craulad, la fuga, l’aggressione di Sara, erano davvero troppe cose anche per lui. Si fissò le mani, si sentiva pieno di forze, il sangue di Sara l’aveva rigenerato meglio di quanto si sarebbe mai aspettato. Non era stato come quando aveva leccato il sangue del neonato che Craulad gli aveva procurato, quello di Sara era di una qualità differente ed al sol ricordo, la gola prendeva di nuovo ad inaridirsi ed a desiderarne ancora. Chiuse gli occhi, deglutì a vuoto e sospirò. Quel rumore di pioggia battente gli riportava alla mente vecchi ricordi, frammenti di un passato che avrebbe voluto dimenticare per sempre, ma che non gli era concesso farlo….
“Se fosse sempre così…” sorrise Rhith giocando con le dita sul petto dell’uomo. Lui sorrise cingendola in un abbraccio. Un vagito proveniente dall’altra stanza richiama l’attenzione dei due amanti.
“Tua figlia ti chiama” sospirò la donna sedendosi sul letto mostrando in morbidi seni bianchi come il marmo. “Arrivo subito” sorrise Karl sfiorandole le labbra con un bacio e correndo dalla piccola che non accennava a smettere. Pochi istanti e fece capolino nella stanza con la bimba tra le braccia intento a cullarla. Senza usare parole, le canticchiava una dolce melodia, per aiutarla ad addormentarsi, Sara mugugnò per alcuni istanti e si riaddormentò.
“Ci sai proprio fare con lei” constatò con ammirazione la donna.
“E’ mia figlia, penso sia normale” rise posandola sul letto in mezzo a loro. “Anzi, nostra figlia” precisò. La ragazza dalla fluida capigliatura ramata non rispose, ma si limitò a baciarlo con passione.
La piccola Sara dormiva profondamente al riparo tra i due adulti che le fungevano da cuscino, di tanto in tanto Karl prendeva la mano nella sua accarezzandole il dorso. La bambina sembrava essersi completamente calmata, nonostante fuori infuriava una vera tempesta.
“E’ così bella” sorrise Rhith sdraiata su un fianco con lo sguardo rivolto verso la creatura.
“Ha preso dalla mamma è evidente” scherzò Karl ridendo.  La piccina strinse con forza il dito che il padre usava per accarezzarle il dorso della mano, mugugnò qualcosa d’incomprensibile, poi sorrise tirandolo a se. La coppia di adulti sorrise nel vedere la scena: “a quanto pare ho una rivale in amore” constatò la donna sorridente.
“Effettivamente è una scelta difficile la mia” risposte lui fingendosi imbarazzato.
“Ma se dovessi essere messo davanti ad una scelta? Chi sceglieresti? Me o Sara?”. Karl esitò davanti alla domanda, non capiva che risposta si aspettava da lui. Il suo cuore rispondeva senza dubbio Sara, ma in verità le amava entrambe tantissimo e non avrebbe mai potuto fare una scelta tra le due.
“Che domande fai?” rise titubante. “Non scherzare su queste cose”.
“Non sto scherzando” ribatté, “sono serissima”. Lui la guardò negli occhi.
“Ascolta, semmai ti troverai davanti a questa scelta, voglio che tu protegga Sara. Io sono adulta e posso difendermi da sola, ma lei è così piccola ed indifesa. Mai e poi mai dovrai esitare. Sara è la nostra preziosa bambina e tu dovrai sempre starle vicino, me lo prometti?” disse Rhith accarezzando il volto dell’uomo che rimase in silenzio. Non capiva come mai improvvisamente sua moglie se ne fosse uscita con una frase di quel genere, di solito non sono certo cose che uno dice tanto per, ma allora perché?
“Tesoro” mormorò Karl confuso. Lei gli posò una mano sulle labbra: “dimmi solo che lo farai” sorrise.
“Va bene, te lo prometto” fece una pausa, “ma perché questo discorso, sembra quasi che tu voglia andartene da qualche parte senza di noi” disse confuso. Le sorrise dolcemente, gli sfiorò le labbra con un bacio e sorrise nuovamente.
“Rhith?”.



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