Karl stringeva tra le braccia la
sua prima preda umana. Era eccitato al punto tale che l’intero corpo era
pervaso da fremiti di piacere. Avvicinò le labbra alla ferita che Craulad aveva
fatto al braccio del piccino e la leccò. Il piccino smise di dimenarsi ed lo
fissò negli occhi. Nonostante l’uomo fosse coperto di sangue ed avesse i
lineamenti contratti in una smorfia di dolore ed eccitazione, il bambino non
sembrava averne paura. Allungò la piccola manina verso il viso dell’uomo che lo
sorreggeva tra le sue braccia.
“Non si gioca col cibo, Karl” lo
riprese l’altro, “muoviti a mangiarlo. Se vuoi sopravvivere hai bisogno di lui,
se un giorno vuoi affrontarmi ad armi pari, devi diventare come me”.
Karl esitò davanti al sorriso
innocente del piccolo. Stava ancora lottando. Non poteva, non voleva diventare
un mostro. lui non doveva, ma la sua bocca si avvicinava pian piano al collo
del piccolo senza che lui potesse fari nulla per evitarlo. Era come se guardasse
il suo corpo dall’esterno e non potesse prenderne il controllo. Stava per
uccidere un essere innocente.
“Avanti! Fallo per la tua
bambina! Fallo per Sara!” l’incitò Craulad al culmine della eccitazione. Non
solo voleva ucciderlo nel fisico, ma anche nello spirito. Karl era un vampiro che
aveva mantenuto la sua natura umana e per questo era un
soggetto pericoloso e difettoso ai suoi occhi, e poi doveva vendicarsi, si,
karl gli aveva portato via il bene più prezioso, la sua sposa ed ora lui
avrebbe fatto lo stesso con la sua Sara.
Nel sentire il nome di sua
figlia, un barlume di lucidità pervase l’uomo facendolo trasalire proprio un
istante prima che i canini recidessero la morbida gola del piccolo. Ansimante
scostò il viso da quello del bambino. “Io non sarò mai come te!” mormorò fissando Craulad.
Strinse al petto il piccolo
spiccando un balzo oltre la rete di protezione, giù verso il terreno della
scuola. Strinse i denti per il dolore al petto, il bambino aveva ripreso a
piangere disperato, chiuse gli occhio per concentrarsi e si smaterializzò pochi
istanti prima che toccassero terra.
“Non mi aspettavo nulla di più da
una stupido come te, Karl” mormorò il professore leccandosi le dita ancora
sporche del sangue del suo avversario, “questo tuo modo di fare, ti ucciderà”
concluse avviandosi verso le scale interne della scuola.
Era notte fonda quando Karl
rimise piede in casa, il corpo devastato dal carico psicologico e fisico a cui
Craulad lo aveva sottoposto, gli pesava come se fosse fatto di piombo. Aveva
girato per ore col piccolo tra le braccia alla ricerca di cibo. Craulad aveva
ragione, gli animali di cui di solito si nutriva non erano riusciti a fargli
rimarginare le ferite, ma almeno avevano attenuato la sua sete e con essa anche
la perdita di sangue.
Il bambino l’aveva poi
abbandonato davanti ad una stazione di polizia, non prima di avergli medicato
la ferita al braccio, ma non avrebbe mai scordato il piacere, il profumo ed il
gusto del sangue umano, ora come ora, lo bramava molto più di prima. Le luci
della casa erano spente, segno che Sara probabilmente stava dormendo. Questo pensiero
lo rincuorò, non avrebbe saputo come spiegarle la causa delle sue ferite e poi
non era sicuro di riuscire a trattenersi dall’aggredirla. Con passo malfermo salì fino alla sua camera,
sentiva il dolce profumo del sangue caldo provenire dalla stanza accanto,
deglutì stridendo i denti, sapeva che non sarebbe stato facile come un tempo condividere
lo stesso tetto con sua figlia, ma non poteva abbandonarla. Ormai aveva solo
lui al mondo. Chiuse gli occhi e respirò a piene boccate, era meglio andarsi a
coricare nel letto in attesa che la sua ferita al petto si rimarginasse del
tutto.
“Papà?”. Sgranò gli occhi, la
voce proveniva dalle sue spalle, Sara l’aveva aspettato ancora sveglia, l’unica
cosa che non avrebbe dovuto fare, non quella sera. Strinse forte i pugni
digrignando i denti: “si, figliola?” chiese senza neanche voltarsi in direzione
della ragazza.
La giovane esitò un istante,
anche se non poteva vederne il volto, percepiva la sua sofferenza. “Tutto
bene?” chiese avanzando di un passo, “dove sei stato?” concluse allungando la
mano verso le spalle ricurve dell’uomo che si scansò istintivamente.
“Non avvicinarti!” mormorò con
voce rauca, “avevo delle cose da fare, ora è tardi, vai a letto”.
“Ma…” provò a ribattere quando
notò delle piccole macchie di sangue ai piedi dell’uomo, “Papà, stai
sanguinando!” accorse, ma l’uomo la spinse via con una forza disumana
scaraventandola contro la parete. Lei urlò spaventata. Lo sguardo incredulo, fisso
sull’uomo che l’aveva cresciuta.
“Scusami, non volevo” mormorò sofferente,
“ora lasciamo da solo, ti prego” concluse entrando nella stanza e chiudendosi
la porta alle spalle. Sara rimase in silenzio, le gambe le tremavano dallo
spavento, non era ferita, ma era la prima volta che suo padre la picchiava e ne
ebbe timore. Che quel gesto avventato avesse fatto più male a lui che a lei,
era evidente agli occhi della ragazza. Si morse il labbro, l’istinto le urlava
di avventarsi sulla porta della stanza, buttarla giù a pugni se era il caso e
chiedere spiegazione, ma una vocina nella sua testa, le consigliava di lasciar
perdere. Suo padre aveva qualcosa che non andava, non aveva dubbi e non aveva
il pieno controllo di se stesso. Appoggiò entrambe le mani alla porta, poi vi
aggiunse il capo: “papà? Papà mi senti, vero?” chiese, ma non ebbe risposta.
“So che mi stai sentendo e so che in questo momento ti senti in colpa per come
hai reagito un attimo fa, ma io non sono arrabbiata, non preoccuparti. Noi due
ci conosciamo troppo bene papà, siamo sempre stati insieme e, da quando la mamma
è morta, non mi hai mai lasciata sola un attimo, non mi hai mai fatto mancare
nulla, mi hai protetta ed amata con tutto te stesso, ma ora c’è qualcosa di
diverso in te. Sei cambiato. E questo cambiamento mi spaventa, però al contempo
mi preoccupa” fece una pausa ed alcune lacrime iniziarono a rigarle il viso,
“papà io ti voglio bene! Quindi ti prego, se c’è qualcosa che posso fare per
aiutarti, dimmelo!” alzò leggermente la voce, “ti prego… non lasciarmi
indietro…. Non aver paura, qualsiasi cosa sia, io ti starò vicino e ti
sosterrò, ma tu devi fidarti” si lasciò scivolare sulla superficie della porta.
“Devi fidarti” concluse con un sussurro tra i singhiozzi, ma dall’altro lato
della porta non ci fu nessuna risposta.
Nella stanza Karl si era
accasciato in terra tra il letto e l’armadio. La testa tra le mani tremanti.
Aveva ascoltato ogni singola parola ed una parte di lui sarebbe voluta correre
dalla sua adorata figliola per abbracciarla e rassicurarla, ma dentro di se il
“mostro” era agitato ed assetato. Il dolore al petto era intenso, la sensazione
della mano di Craulad intenta a scavargli le carni alla ricerca del cuore, era
ancora ben impressa nella mente. “Sara” mormorò stringendo i denti, ma lei non
poteva più sentirlo. Chinò il capo fino a posizionarlo tra le ginocchia, quel
capo scuro come la notte, ma che quando la creatura che viveva in lui si
destava, diventava argentato come i riflessi della Luna. Ripensò alla notte in
cui quell’orrore ebbe inizio ed un brivido lo percorse. La tragedia poteva ripetersi,
finché Craulad era in vita, l’orrore di quella notte era sempre in agguato.
Al mattino, un sole stranamente
caldo fece capolino tra le fessure delle persiane illuminando il viso della
giovane che si destò di scatto. Si guardò intorno con espressione confusa, come
quando ci si sveglia da un sonno particolarmente profondo e non si capisce se è
mattino o pomeriggio, con una mano si sistemò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, si stiracchiò e scese dal letto. Quei movimenti così meccanici e
naturali non le fecero notare subito una cosa importante, ma aveva la netta
sensazione che le sfuggisse qualcosa. Prese la biancheria pulita da un cassetto
del mobile posizionato sotto la specchiera e ne approfittò per dare un’occhiata
veloce al suo riflesso nello specchio. Nulla di anormale, viso pallido, occhi
gonfi ed arrossati dal sonno e dalle lacrime…Lacrime? Pensò. Si guardò intorno
accigliata, era sicurissima di essersi addormentata davanti alla porta della
stanza di suo padre dopo averlo implorato, come mai era nella sua stanza? Uscì
di corsa dalla camera diretta a quella del padre, bussò tre volte: “papà sei
sveglio?” chiese, provò a girare la maniglia della porta e questa volta si aprì
con uno scatto deciso. “Papà?” chiamò mettendo dentro solo la testa, “sto
entrando, sei sveglio?” continuò aprendo completamente la porta ed entrando
nella stanza. Il letto era intatto, la finestra ben chiuso e le tapparelle
abbassate, fece alcuni passi, accese l’interruttore della luce e lo sguardo si
soffermò su alcune piccole macchie di sangue secco che sporcavano il pavimento
ai suoi piedi. “Papà?” chiamò guardandosi intorno. Era evidente che l’uomo non
c’era e che non aveva neanche usato la stanza. Un ansia senza pari l’assalì.
Non era raro che il padre uscisse di casa nel cuore della notte, ma tornava
sempre prima del suo risveglio e poi quella sera era successo qualcosa,
l’intera giornata di ieri aveva portato con se diversi avvenimenti
inspiegabili, fatti che richiedevano risposte, ma ora quello che le premeva di più
era vedere suo padre, assicurarsi che stesse bene. Uscì di corsa dalla stanza
diretta al piano terra. “Papà!” chiamò a gran voce, ma anche in salotto non
c’era presenza dell’uomo. Il divano con la stoffa ben tesa, il televisore
spento, la penombra delle persiane che facevano trapelare pochissimi raggi
solari. Le gambe iniziarono a tremarle. Suo padre non c’era! Non era da nessuna
parte! No, non era possibile! Lui non l’avrebbe mai abbandonata! Mai! Corse
verso il bagno e aprì la porta senza neanche bussare: “papà?” chiamo.
“Papà!”
“Papà!”
“Papà!!”
Correva da una parte all’altra
della casa chiamando in continuazione, una voce dentro di lei continuava a
ripeterle che era inutile, ma lei non riusciva a fermarsi. Lui doveva essere da
qualche parte! Non poteva accettare l’idea che l’avesse abbandonata, non
poteva!
“Sara?” si sentì chiamare. Si
voltò. Il viso rigato dalle lacrime. E si ritrovò faccia a faccia con suo padre
che la guardava preoccupato. “cosa ti è successo? Perché piangi?” chiese
avvicinandosi. L’ingenuità con cui l’uomo le stava parlando, le fece montare su
una rabbia incontrollabile: “E me lo chiedi?” sbraitò. “Ieri sei sparito dopo
essere svenuto, ritorni a notte fonda ricoperto di sangue, ti rifiuti di
parlarmi, ti chiudi in camera e stamattina al mio risveglio sembravi sparito
nel nulla” si scagliò contro il petto del padre a pugni chiusi, “tu non mi dici
mai niente!” l’accusò, “io sono preoccupata non lo capisci? Tu hai qualcosa che
non va, io lo so! Lo sento!” continuò piangendo disperata. “Si può sapere
dov’eri finito?” chiese stringendosi a lui.
“A comprare il latte, non mi ero
accorto che era finito” mormorò lui con un leggero imbarazzo. Lei sollevò il
capo per guardarlo negli occhi: “latte?” mormorò confusa.
“Si” sorrise lui mostrandole la
bottiglia da litro. “Dato che ieri sono stato scontroso con te, volevo farmi
perdonare preparandoti la colazione come quando eri piccola, ma era finito il
latte e così…” cercò di spiegare l’uomo sotto lo sguardo severo della figlia
che continuava ad osservarlo col viso rigato di lacrime. Non capiva se era lei
ad aver esagerato, se aveva un padre davvero svampito o se forse, tutta quella
storia di ieri fosse stato tutto un lungo sogno. “Su, su…” riprese l’uomo
scostandola con dolcezza, “vai a lavarti quel viso e poi torna giù a far
colazione” concluse avviandosi verso la cucina. Lei obbedì, si sentiva
intorpidita. Salì lentamente le scale, prese la biancheria che aveva lasciato
precedentemente sul letto e si avviò in bagno per rinfrescarsi.
Il profumo di uova al bacon, pane
tostato e caffè aveva impregnato l’aria donando alla giovane una sensazione
piacevole, ma al contempo nostalgica. Mangiò tutto in silenzio, diligentemente.
Di tanto in tanto buttava un occhio all’orologio, un gesto quasi meccanico
considerato che quella mattina, l’ultimo dei suoi pensieri era quello di andare
a scuola.
“Come va la ferita di ieri?”
chiese tenendo lo sguardo basso ed iniziando a giocare con la forchetta nel
piatto. Si sentiva strana, un misto di agitazione e spossamento. L’ansia che
aveva provato al suo risveglio quando non aveva visto il padre nel suo letto,
l’aveva scossa fin nel profondo.
“Non era nulla di grave, non
preoccuparti” sorrise lui.
“Eppure in camera tua c’è ancora
del sangue” ribatté lei, questa volta alzando lo sguardo per carpire ogni
minima reazione da parte dell’uomo che si strinse nelle spalle.
“Cercherò di ripulire appena
finito di far colazione” sorrise nuovamente, “comunque te lo ripeto, non era
poi così grave come sembrava, ti pare che con una ferita del genere potrei
andarmene in giro per casa come se nulla fosse?” soffocò una risata. Sara
continuava ad osservalo, in apparenza era quello di sempre, eppure percepiva in
lui una sorta di disagio che mascherava con falsi sorrisi di circostanza.
Quella storia stava durando anche troppo, doveva mettere la parola fine a
quella situazione logorante e, soprattutto, era arrivato il momento di sapere.
“Papà, noi dobbiamo parlare”
prese a dire posando la forchetta sul bordo del piatto.
Karl esitò, il sorriso che fino
ad un secondo prima illuminava il suo volto, sparì dietro ad un espressione
serie e contratta, ieri sera aveva commesso uno sbaglio, sapeva che far finta
di nulla non l’avrebbe portato da nessuna parte, conosceva bene sua figlia e
sapeva che quando si metteva in testa una cosa, niente e nessuno riusciva a
dissuaderla. Si lasciò scappare un sospiro. “Si, immagino di si” rispose.
“Ecco…” mormorò lei abbassando lo
sguardo esitante. Nonostante la determinazione delle sue intenzioni, non osava
guardarlo negli occhi, sapeva che se avesse incrociato lo sguardo del padre,
con molta probabilità si sarebbe sentita sopraffatta dall’emozioni e
dall’ansia. Fece un respiro profondo per calmare il cuore che aveva preso a
battere con forza, finalmente il momento della verità era arrivato. Erano anni
che attendeva questo momento ed ora che era li, non sapeva bene neanche lei
come iniziare il discorso.
“Avanti, ti ascolto” incitò lui.
Percepiva distacco nelle parole del padre e la
cosa non le piaceva. Molti avrebbero pensato a lei come ad una persona viziata,
perché suo padre non le aveva mai negato nulla, la riempiva di attenzione ed
affetto. Si, lei era la prima a dire di essere avida d’amore ed ora stava
mettendo tutto in gioco per acquisire la verità. Strinse i pugni che aveva
ordinatamente appoggiati sul grembo, fece un altro respiro profondo e chiuse
gli occhi.
“Cosa ti è successo ieri?” chiese
con voce tesa.
“Sono stato aggredito, ma ti ripeto
che non era nulla di grave” si affrettò.
“Chi ti ha aggredito o dovrei
dire cosa?”.
Lui esitò. Sara aveva capito era
evidente. Continuare a girarci intorno non aveva ormai più senso. Strinse forte
i pugni fino a farli tremare. Con che coraggio poteva raccontare a sua figlia
chi fosse in realtà? Come poteva dirle che era un mostro?
“Papà?” mormorò lei notando
l’improvviso cambio d’espressione del padre non appena aveva sentito la sua
domanda, che fosse in difficoltà era evidente, ma se ora si fosse mostrata
clemente, probabilmente il padre ne avrebbe approfittato per sviare il
discorso.
“E’ stato il professor Craulad
per caso?”.
Lui sgranò gli occhi. “Perché
proprio lui? Ti ha fatto o detto qualcosa?”.
“No, ma ho ricordo tutto. L’altra
sera sei uscito di casa a notte fonda, io ti ho seguito e sono finita in un
fabbricato in costruzione e, dato che sentivo dei rumori, mi sono nascosta in
un armadio a muro” fece una pausa, ma il padre non disse nulla, al contrario
sembrava stesse ascoltando con molto interesse, quindi riprese a parlare.
“Appena mi sono chiusa nel mobile è arrivato un uomo, aveva una voce roca e
profonda, diceva che mi avrebbe uccisa, ma poi, quando la porta dell’armadio si
è aperta, sei apparso tu. Dopo non ricordo nulla, forse sono svenuta, ma ieri
mattina ho risentito quella voce spaventosa. Era quella dell’insegnante addetto
all’infermeria, il professor Craulad”.
Aspettò qualche istante, sperando
che il padre dicesse qualcosa, ma non profilò parola, rimase immobile, il volto
tra le dita incrociate.
“Papà chi è il professor Craulad?
Quando ti faccio il suo nome, ti agiti subito, quindi deduco che tu lo conosca,
vero?”.
“E’ un uomo pericoloso, ti basta
saper questo” sospirò l’uomo.
“No che non mi basta!” scattò,
“io ho il diritto di sapere!”.
“Diritto? Di cosa stai parlando?
Tu non hai nessun diritto, ma solo obblighi. Quelli che t’impongo io in quanto
tuo padre ed il primo è quello che devi stare alla larga da Craulad!” urlò Karl
tutto d’un fiato. Sara si ammutolì. Era la prima volta che suo padre la
sgridava e la cosa l’aveva profondamente mortificata. Cosa stava facendo di
così sbagliato? Lei era solo preoccupata eppure ora sembrava quasi che fosse
passata dalla parte del torto. Non comprendeva la reazione del padre, ma capiva
perfettamente la gravità della situazione che era alle spalle di tutto ciò. Si
alzò dalla sedia incamminandosi verso il salotto.
“Sara, dove stai andando?” scattò
Karl rincorrendola.
“A scuola, mi sembra ovvio. Anche
la scuola è uno dei miei obblighi in quanto figlia, no?”. Si sentiva ferita
dall’atteggiamento del padre, così profondamente toccata, da risvegliare in lei
gli atteggiamenti tipici dei bambini quando mettono il broncio. Sentiva le
guance calde, probabilmente erano arrossate per la troppa rabbia, avrebbe
voluto prendere a calci qualcosa per calmarsi, ma si sforzò di continuare ad
assumere un atteggiamento il più maturo possibile.
“Aspetta!” scattò Karl
prendendola per un braccio, ma lei si svincolò.
“Cosa c’è? Ora non va bene
neanche se vado a scuola? Insomma cosa vuoi che faccia? Io non sono un robot,
sono un essere umano, ho delle emozioni, dei sentimenti! Cose credi che mi
abbia fatto piacere vederti ridotto in quello stato ieri sera? Stamattina
quando non ti ho trovato in camera, pensavo che te n’eri andato per sempre
lasciandomi sola” urlò lei aggrappandosi alle maniche della maglia del padre.
“Ho avuto tanta paura, tanta che neanche te la puoi immaginare e tu che fai?
Anziché darmi spiegazioni, mi ricordi i miei obblighi? Mi tratti come una
bambina, ma io non sono più una bambina, papà!” concluse con le lacrime agli
occhi. Lui la fissò con una sguardo stranamente dolce, Sara aveva ragione, si
era comportato male, il suo desiderio di proteggerla e la paura della verità
che si nasconde dietro la sua natura, l’avevo spinto ad un atteggiamento
odioso, un comportamento a cui ne lui ne lei erano abituati.
“Però piangi come una bambina”
sbuffò lui soffocando un sorriso, “ti cola il naso”.
“Eh?” scattò la ragazza
portandosi le mani sul viso, prese un fazzoletto dalla tasca, “non è vero!”
negò diventando tutta rossa e si soffiò il naso. L’uomo l’abbraccio cingendole
la testa e lasciando che la ragazza potesse sistemarsi. L’abbraccio, seppur
freddo al tatto del padre, riusciva a tranquillizzarla ed a scaldarle il cuore.
“Mi spiace per prima” mormorò
lui, “non volevo ferirti”.
Lei scosse il capo e tirò su col
naso.
“C’è una cosa che volevo dirti da
tempo, papà e credo che ora sia il momento di farlo. Credimi questa cosa fa
male anche a me, mi angoscia da anni, ma non posso continuare a tenermi tutto
dentro, a non sapere…” tirò di nuovo su col naso, “perché vedi, anche in questo
momento, tu mi stai mettendo davanti all’evidenza dei fatti” mormorò posandogli
una mano sul petto. “Nel tuo corpo non
c’è battito, eppure tu sei qui con me. Ci ho pensato allungo, ma non capisco o
meglio, forse sono solo così sciocca da non voler capire” sorrise timidamente,
“ma ora devo sapere o non posso andare avanti, soprattutto se sei in pericolo a
causa del professor Craulad. Fidati di
me, papà. Ti prego. Fidati di me una volta tanto”.
Lui chiuse gli occhi: “va bene,
chiedimi quello che vuoi” sospirò affranto.
Con gesto delicato, spinse la
ragazza fino al divano per farla accomodare, poi prese posto accanto a lei ed
attese che la figlia iniziasse parlare. Il momento che aveva temuto per anni,
era arrivato. Sara aveva ragione, doveva sapere.
“E’ difficile iniziare il
discorso, ho un po’ paura che se dico
qualcosa di strano tu poi ti arrabbierai”, si schiarì la voce tenendo lo
sguardo basso.
“Perché non provi a farmi delle
semplici domande?” ribatté sorridendole dolcemente. Sara si schiarì nuovamente
la voce, sentiva lo sguardo dell’uomo su
di se e la cosa la rendeva ancora più agitata ed insicura. Come avrebbe potuto
chiedere spiegazioni senza urtare la sensibilità dell’uomo che l’aveva
cresciuta con tanto amore? Ma non poteva permettersi ancora di esitare. Non
più.
“Prima d’iniziare, vorrei che tu
mi promettessi una cosa…”.
“Dimmi, ti ascolto”.
“Promettimi che non mi mentirai e
che mi dirai la verità qualsiasi essa sia, prometti?” chiese Sara tutto d’un
fiato.
“Prometto di rispondere alle tue
domande con la dovuta sincerità” confermò lui.
“Chi sei tu?” chiese con voce
tremante.
“Tuo padre” rispose lui secco.
Lei alzò il capo di scatto ed i
loro sguardi s’incrociarono per un breve istante. Non pareva adirato, anzi… nei
suoi occhi, Sara leggeva la stessa ansia che stava provando lei in quel
momento.
“Scusa, ho formulato male la
domanda” sorrise, “tu sei umano?” chiese infine e dentro al petto sentì
sciogliersi qualcosa. Finalmente quella domanda che aveva tenuto per se per
tanti anni, era uscita dalla sua bocca con una naturalezza disarmante.
“No”.
La secca risposta la fece sobbalzare, lo guardò negli occhi,
quello sguardo che un secondo prima sembrava logorato dall’ansia, ora non
faceva trapelare la minima emozioni, ma le trasmettevano un’insolita freddezza.
Sapeva che stava facendo una cosa orribile, quello strano dialogo avrebbe
probabilmente ferito entrambi, ma sentiva che non poteva più vivere con quel
peso. Strinse con più forza i pugni. “Però sei anche mio padre, giusto?”.
“Si”. Di nuovo una risposta secca
che faceva trasparire tutta la tensione dell’uomo.
“Vuoi che smetta con le domande?”
chiese Sara impietosita.
“No, se non è quello che vuoi. Ho
promesso di rispondere sinceramente a tutte le tue domande, quindi non
preoccuparti per me, continuiamo pure” rispose l’uomo forzando un sorriso.
Sara distolse lo sguardo, se non
lo fissava, le veniva più facile parlare liberamente. “Io ho un dubbio. Un
ricordo confuso di quando ero bambina”.
“Che ricordo?”.
“Una sera, quando era appena
morta la mamma, ti ho sentito uscire di casa in piena notte e ti ho seguito,
poi ad un certo punto ti ho perso di vista, stavo per tornarmene a casa, quando
ho sentito dei rumori provenire dal parco recintato che c’è dietro il negozio
di liquori, così incuriosita mi sono avvicinata alla cancellata ed ho visto un
uomo che stava mangiando un altro uomo e…” deglutì guardandolo con la coda
dell’occhio. “L’uomo che si stava macchiando di quello scempio, sembravi
proprio tu, papà” sospirò ritornando a fissare il pavimento ai suoi piedi.
Karl rimase in silenzio, lo
sguardo calmo, sembrava stesse provando ad immaginarsi la scena o forse a
ricordarla. Non c’era disgusto nel suo sguardo, nonostante il racconto della
ragazza. “Quindi tu hai pensato che fossi io?” chiese.
“Si” sussurrò abbassando il capo
con imbarazzo, solo ora realizzava di quanto orribile fosse stato il suo
pensiero in quel momento, ma si chiese
se suo padre non fosse rimasto ferito da questa sua confessione.
“Di che colore erano i capelli di
quell’uomo? Te lo ricordi?” chiese il padre impassibile.
Lei ci pensò su, “ovviamente
scuri come i tuoi, te l’ho detto che sembravi tu!”.
“Non ero io” rispose il padre con
un certo sollievo. Lui non uccideva umani e poi i suoi capelli cambiavano
colore quando la sua forma vampiresca prendeva il sopravvento, ma ovviamente
queste cose Sara non poteva saperle.
“Scusami se ho pensato una cosa
così orribile di te” sorrise visibilmente sollevata, il fatto che l’uomo che
avesse visto quella volta non era suo padre la rincuorava, anche se ancora non
era chiaro come mai nel suo petto non c’era battito, ma ora una parte di lei
voleva godersi questo momento di sollievo. “Sai? Sembrava di vedere un vampiro
che consuma il pasto” mormorò Sara, “ma tu non sei un vampiro, giusto?” concluse
sempre più rilassata.
“E se lo fossi?” rispose Karl
sposandosi in avanti col busto ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Sara non rispose, le labbra
presero a tremare, si rendeva conto di aprire la bocca, ma non riusciva ad
emettere alcun suono, era immobile a fissare la figura ricurva del padre che
non osava guardarla in faccia, ma che continuava a fissare un punto imprecisato
del pavimento.
“Tu, sei un….” mormorò lei con
voce strozzata.
“Mi dispiace, Sara” rispose Karl
nascondendo il viso dietro i pugni serrati. “Credimi, mi dispiace davvero
tanto, bambina mia…” continuò a denti stretti.
A sentir quelle parole, Sara si
sciolse in un pianto incontrollabile, anche se non voleva, le lacrime
continuavano a rigarle il viso senza che potesse far nulla per fermarle. Era
cosciente che quelle lacrime avrebbero ferito il padre più di ogni altra cosa
al mondo, ma non riusciva a trattenersi, perché proprio lui? E com’era
successo? E lei? Anche lei era un vampiro? Troppe domande si stavano
sovrapponendo nella testa in attesa di risposta, ma ora non aveva più la forza
di dar voce ai suoi pensieri, l’unica cosa che voleva realmente fare, era
abbracciare suo padre e fargli capire che nonostante tutto, lei lo amava ancora
tanto.
“Papà…” sussurrò tra le lacrime.
“Hai paura di me ora, vero?”
chiese lui tenendo il viso nascosto nelle mani.
Lei fece no col capo, “come
potrei aver paura di te?” chiese abbracciandolo.
“Io sono pericoloso” mormorò,
“ieri sera, avrei potuto ucciderti! A causa della ferita che avevo al petto, la
mia fame era incontrollabile, riuscivo a sentire le pulsazioni del tuo cuore
attraverso i muri, volevo affondare i
miei canini nel tuo collo e…” si bloccò, aveva perso il controllo. Sgranò gli
occhi incredulo per quello che aveva detto. Come poteva aver pronunciato simili
parole? Era un mostro, se ora Sara fosse scappata via spaventata, non avrebbe
potuto darle torto. Con la coda dell’occhio scrutò il volto della figlia che
gli era seduta accanto. Aveva smesso di piangere, gli occhi, la punta del naso
e le guance arrossate, il resto del viso bianco come il marmo. Non era in grado
di decifrare l’espressione che aveva assunto, ma era ancora li, accanto a lui e
questo l’aveva comunque rincuorato.
“Hai mai ucciso qualcuno?” chiese
la giovane con un filo di voce
“Solo una volta” mormorò lui a
capo chino, “ma non chiedermi altro a riguardo, ti prego”.
Un manto silenzioso calò tra i
due congelando per alcuni istanti l’atmosfera intorno a loro. L’aveva ammesso,
Karl, il suo adorato padre era un vampiro ed un assassino. Per quanto avesse
premesso che non sarebbe cambiato nulla, non poté non provare un senso di
vertigine, come una voragine che le aveva inghiottito lo stomaco per alcuni
istanti. Lui rimase in silenzio, il capo chino di chi aveva confidato una colpa
inconfessabile.
“Mi dispiace” disse infine
l’uomo. Lei trasalì.
“Io non riesco ancora a crederci”
riprese Sara, “non è possibile!” sussurrò tremante. “Tu non puoi essere un
vampiro!” scattò in piedi. “I vampiri non mangiano i cibi comuni, non escono di
giorno e dormono nelle bare, non è forse così?” concluse ansimando.
Karl fu scosso da una risata
improvvisa, era la prima volta che lo faceva da quando avevano iniziato il
discorso, “queste sono solo sciocchezze che si sono inventati gli umani.
Vaneggiamenti di persone che ci hanno mangiato su, scrivendo libri e saggi. In
realtà la luce non ci uccide, ma ci indebolisce, il cibo comune per noi è
semplicemente insipido e per quanto riguarda il dormire, perché farlo in una
bara quando il letto è così comodo?”.
La disinvoltura con cui il padre
aveva risposto alla domanda fu così spontanea
ed inaspettata che Sara scoppiò a ridere, mentre il viso veniva nuovamente
rigato dalle lacrime. Quel discorso li stava distruggendo entrambi. Erano
rimasti solo loro, l’uno era la famiglia dell’altro. Uniti come un’unica
persona da un affetto senza pari eppure adesso questo legame era stato messo a
dura prova.
“Mi dispiace bambina mia, non avrei mai voluto
dirti le cose come stavano, ma ti prego di credermi, nonostante tutto, io ti
amo come il primo giorno che ti ho preso tra
le braccia. L’ultima cosa che avrei voluto era farti soffrire”. Detto
questo, Karl si alzò diretto alla porta d’ingresso.
“No!” urlò la ragazza correndogli dietro ed
afferrandolo per le spalle.
“Lasciami andare, Sara”.
“No che noN ti lascio! Se ora lo
facessi, sono sicura che non ti rivedrei mai più ed io non voglio!” urlò
pigiando la fronte contro la schiena dell’uomo. “Non capisci? A me non importa!
Si, è vero. Ho avuto qualche momento di esitazione, ma puoi concedermelo, no?
Non capita tutti i giorni di scoprire che hai un padre vampiro, ma questo non
cambia nulla! E se non cambia per me, non vedo perché dovrebbe cambiare per
te!”.
Lui si voltò per guardala.
“Sara” mormorò Karl e la strinse
forte a se.
“Tu sei tutto quello che mi
rimane, papà. Sei la mia famiglia e non voglio perderti” singhiozzo tra le
braccia del padre.
“Tu non mi perderai mai, io
veglierò sempre su di te, ti proteggerò, costi quel che costi”, sussurrò
stringendola ancora di più a se.
“Proteggermi? Proteggermi da
cosa?” chiese scostandosi.
L’uomo esitò un istante, sembrava
cercare le parole più idonee da usare, mentre Sara continuava a fissarlo con
circospezione. “Non c’è un modo giusto per dirlo, quindi sarò diretto: devi
stare lontana da Craulad. Quell’uomo è pericoloso e vuole farti del male,
quindi per un po’ sarebbe meglio che tu non vada a scuola. Mi rendo conto che
equivale a scappare, ma credimi è importante”.
“E’ anche lui un vampiro?”.
“Si”.
“E perché ce l’ha con me?”
“Non ce l’ha con te, ma con me. E’ me che vuole far
soffrire e lo vuole fare attraverso te”.
“Si, ma perché?”.
“Si, Karl, perché non le spieghi
il perché, sono curioso di sentire che cosa t’inventerai” tuonò Craulad alle
loro spalle. I due si voltarono spaventati, poi distinto, Karl afferrò Sara per
un braccio e la spostò dietro di se per proteggerla. “Tu! Che ci fai qui?” gli chiese minaccioso. Sembrava un leone che ringhia
alla sua preda, ma l’altro non si scompose più di tanto, prese il solito
pacchetto di sigarette dal taschino della giacca in pelle nera che indossava in
quel momento, ne estrasse una e l’accese. In breve tempo il fumo riempì il
piccolo soggiorno, Karl non toglieva gli occhi da Craulad che col suo solito
sorriso sornione lo fissava godendosi la fumata, mentre Sara rimase
rannicchiata dietro le spalle del padre.
“Allora, mio caro Karl, l’hai poi
mangiato il bambino che ti ho gentilmente offerto?”.
“Non farei mai una cosa del
genere!” tuonò l’uomo in risposta, mentre poteva sentire il respiro di Sara
farsi più affannoso, le mani che stringevano la sua, erano ghiacciate e
tremanti. “Non sei il benvenuto qui, vattene!” concluse. Craulad mosse alcuni
passi nella stanza, sembravano due bestie feroci che si studiavano prima di un
attacco frontale, “eppure i tuoi occhi non sono più affamati, non dirmi che hai
mangiato ratti fino a saziarti?” rise.
L’altro ringhiò.
“Sei proprio nervosetto, eh? Non
vuoi che la tua piccola, fragile, dolce principessina scopra il tuo segreto,
vero?” espirò dalla sigaretta.
“Di cosa parla?” scattò Sara,
“che mio padre è un vampiro? Lo so già. Spiacente professor Craulad, ma è
arrivato tardi. Mio padre mi ha appena raccontato tutto ed ora se ne vada, per
favore”.
“Tutto?” chiese stringendo gli
occhi e fissando Karl con espressione incuriosita. “Le hai davvero detto tutto,
Karl? Eppure non penso che, se sapesse la verità, sarebbe ancora li
rannicchiata dietro alla tua ombra. Non le hai parlato di Thyra, vero?”.
A sentir quel nome, Karl urlò così
forte da far vibrare i vetri nella stanza, Sara si tappò d’istinto le orecchie
per non rischiare i timpani, ma nonostante tutto, quell’urlo che sembrava più
un canto di dolore, le aveva trapassato da parte a parte il cuore facendole
provare un ansia incolmabile. Più che un
urlo minaccioso, sembrava una supplica che il padre stava trasmettendo al suo
aguzzino. Ma perché tanto dolore un quell’urlo? E chi era Thyra? La ragazza era
sempre più confusa. Tra il professor Craulad e suo padre c’era un legame che
lei ignorava, un passato che suo padre stava proteggendo con tutte le sue
forze.
“Sara, appena ti do il segnale,
esci dalla finestra e corri verso il primo posto affollato che ti viene in
mente, se sei in mezzo alla folla non può attaccarti, io ti raggiungerò” le
sussurrò il genitore non distogliendo lo sguardo dal rivale.
“No, non posso lasciarti, io…”.
“Non è il momento di discutere,
se ci sei tu, non posso scatenarmi. Ti prego, fidati di me. Verrò a
riprenderti, te lo prometto” le assicurò fissandola per una secondo con la coda
dell’occhio. Sara era confusa, non voleva separarsi da lui. Aveva visto la sera
precedente di cosa era capace Craulad e temeva per l’incolumità del mio amato
padre, ma si rendeva conto che stare in quella stanza con loro, avrebbe inevitabilmente
rappresentato un pericolo per lei. Diede un leggero pugno in mezzo alle spalle
all’uomo che gli stava facendo da scudo: “se muori, non ti perdonerò mai!” gli
sussurrò. Lui sorrise.
“Ora!” urlò Karl scagliandosi
sull’avversario che non si aspettava una mossa del genere e ne subì
passivamente le conseguenze. La giovane, aprì la finestra situata a piano terra
della casa e saltò giù ruzzolando sul prato, poi senza perdere tempo, si rimise
in piedi ed iniziò a correre a perdifiato per le vie deserte del quartiere.
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