domenica 21 dicembre 2014

LITTLE SECRET ~ cap. 3 (RACCONTO)

RIASSUNTO: Dopo la brutta esperienza della notte scorsa, Sara sembra aver dimenticato tutto, ma una volta a scuola viene colta da un malore e soccorsa da una sua compagna di classe che la porta in infermeria. Li, il professore addetto al primo soccorso, sembra assumere atteggiamenti strani, ma la ragazza non riesce ad opporsi e si addormenta. L'uomo, che si rivela essere una vecchia conoscenza di Karl, il padre di Sara, sembra essere anche lui un vampiro e pare avere un conto in sospeso col padre della giovane che fugge portando con se la figlia, ma arrivato sotto il portico di casa, stramazza al suono sfinito.



“Papà?”.
“Papà!”. L’uomo aprì lentamente gli occhi e vide il volto della figlia piegato su di lui. L’espressione del viso rigato dalle lacrime era deformata dallo spavento e dall’ansia, mentre con forza continuava a strattonarlo. Lui non disse nulla, sorrise debolmente accarezzandole il viso con una mano.
“Cos’è successo, papà?” continuò lei sconvolta.
“Perdonami, bambina mia” mormorò a stento, “sono solo un po’ stanco” forzò un sorriso. Provò a rimettersi in piedi, ma aveva gli arti inferiori indeboliti. Ansimò stringendo i denti. Si fece aiutare dalla ragazza ed insieme entrarono in casa. 
La giovane lo face accomodare nel divano che avevano in sala, poi corse a prendergli un pò d’acqua. “Tieni, bevi un goccio d’acqua, ti aiuterà” disse porgendogli il bicchiere. Lui lo prese con entrambe le mani, ne bevve un sorso sotto lo sguardo amorevole della giovane che non si staccava dal suo fianco. Aveva commesso una pazzia, aveva rischiato di sparire per sempre, ma non appena aveva avvertito il pericolo accanto a Sara, non poté far a meno di precipitarsi. Craulad aveva ragione, le persone come loro non possono arrischiarsi ad uscire in pieno giorno, la luce non li uccide, ma gli indebolisce all’inverosimile, soprattutto se poi sono costretti ad usare i loro poteri sovrannaturali e teletrasportare non solo se stessi, ma anche altre persone. Rimase in silenzio a fissare il bicchiere vuotato di una metà. Si chiese se davvero quell’uomo aveva intenzioni serie con Sara, scosse il capo come a scacciare un simile pensiero, lei stava bene, era con lui ed era salva. Gli posò una mano sulla spalla: “va meglio?” chiese preoccupata.
Lui sorrise istintivamente: “certo tesoro, te l’ho detto. È stato solo un piccolo capogiro, capita alla mia età” rise. Lei rise a sua volta, sollevata, poi sprofondò il volto nel suo petto ed il silenzio l’avvolse con la sua fredda coperta. Non c’era battito in quel corpo eppure suo padre era li, le sorrideva, le parlava, le accarezzava la testa come quando era una bambina. Un brivido la percosse e si strinse ancora più contro l’uomo, non capiva se si rendesse conto che in quel momento le stava rivelando la sua vera identità o se invece, era un ottima occasione per farle sapere come stavano le cose in modo indiretto. “Cosa dovrei fare ora?” si chiese. “ Dovrei chiedergli: papà scusa, perché non hai battito cardiaco?” sorrise per l’assurdità del suo pensiero, ma proprio in quel momento lui la scostò con forza facendola trasalire. I due si guardarono per un breve istante, gli occhi smarriti di lui si riflettevano in quelli perplessi di lei.
“Scusami, ma ora forse è meglio se vai a riposare un po’, alla fine tra i due quella che stava male eri tu” sorrise l’uomo con una punta d’imbarazzo. Lei lo guardava in silenzio, sembrava aver rimosso il fatto.
“Ma di cosa stai parlando?” gli chiese. L’uomo tacque ed in quel momento gli venne in mente la frase di Craulad :”le hai cancellato la memoria, vero?”. Rabbrividì. E se anche Craulad avesse rimosso i ricordi di quella mattina dalla mente di Sara? Ma a che scopo? Non l’aveva attaccata, era arrivato in tempo, eppure aveva provveduto a sistemare le cose.
 “Papà?” chiamò perplessa, “sei messo peggio di quel che pensassi se non ti ricordi” rise, “sei stato tu a chiamare la scuola dicendo che non stavi bene e chiedendomi di tornare a casa prima, non ricordi?”.
“Io?”.
“Si, poi quando sono arrivata sotto il portico di casa, tu eri a terra pallido ed io mi sono spaventata” concluse lei continuando il racconto. Il padre rimase in silenzio ad ascoltarla, gli occhi tremolanti per la confusione, la bocca socchiusa. “Cosa sta succedendo?” si chiese, “che sia davvero opera di Craulad? E perché?” istintivamente si portò una mano tra i capelli scompigliandoli. Lei lo raggiunse: “ che c’è?” chiese accigliata. Lui scosse il capo sorridendo, “hai ragione tesoro, devo essere un po’ confuso” continuò dandole uno sbuffetto sulla testa, “vado a coricarmi un po’, ci pensi tu al pranzo?” concluse che era già arrivato vicino alla scalinata che portava alle stanze.
“Certo, c’è qualcosa in particolare che vorresti mangiare?” sorrise lei.
Lui si voltò: “no, fai tu” concluse salendo le scale.
Sara rimase in silenzio nel soggiorno, il sorriso che fino a pochi secondi prima la illuminava era completamente svanito. Si fissò attentamente le mani ancora tremanti, fece un gran respiro. Nella sua mente la voce del professor Craulad era ancora vivida e chiara, non aveva dubbi, era la stessa voce della notte precedente. Non sapeva bene come, ma aveva riottenuto i ricordi che al risveglio le erano stati sottratti, ricordava di essere uscita dietro il padre, di essere entrata in quella struttura buia ancora in costruzione e di essersi nascosta nell’armadio a muro. Ricordava la voce glaciale dell’uomo che le stava dando la caccia e quella  calda di suo padre, mentre la invitava ad uscire dal suo nascondiglio. Ricordava il freddo abbraccio con cui suo padre l’aveva circondata dopo quell’avvenimento, lo stesso che le aveva dato alcuni minuti fa e, come ogni volta, sapeva che non c’era vita in quell’abbraccio, che suo padre in realtà era morto tantissimi anni fa e che l’uomo che era con lei, non era altro che una creatura mostruosa, assetata di sangue. Eppure, nonostante queste consapevolezze, non riusciva a temerlo. “I vampiri si nutrono di sangue umano”, pensò ed un brivido la percosse. Ma quando pensava a suo padre, in primis vedeva l’uomo che l’aveva cresciuta con tanto amore, che la consigliava, che si prendeva cura di lei quando era ammalata, “come può un vampiro fare di queste cose?” si chiese. D’istinto si posò una mano sul petto ad altezza del cuore, sentiva i suoi battiti attraverso i vestiti, secchi e ritmati, percepiva il tepore della sua pelle. Rimase in silenzio, il capo chino. “Cosa devo fare?” si chiese smarrita. “Mio padre è un vampiro, il mio professore è anche lui probabilmente un vampiro, i posti che per me dovrebbero essere i più sicuri: casa e scuola, sono quelli dove le minacce sono più evidenti, eppure se il professor Craulad avesse voluto attaccarmi, di occasioni ne avrebbe avute a centinaia, ma non l’ha mai fatto. Perché?” si chiese corrugando la fronte. Prese un bicchiere dalla mensola, lo riempì di un  metà e bevve acqua a grandi sorsate. Si sentiva la testa confusa e la gola terribilmente secca. Lo sguardo si posò infine su della frutta messa composta in una cesta: “cibo” pensò. “Mio padre mangia la roba che gli cucino!” s’illuminò, “non può essere una vampiro, i vampiri non mangiano il cibo degli umani!” esclamò afferrando una mela sorridente.
“Chi non mangia cosa?” si sentì chiedere. La voce proveniva dalle sue spalle, si voltò di scatto spaventata e suo padre era li, davanti a lei, col suo solito sorriso gentile e gli occhiali leggermente caduti sul naso.
“Papà, non ti ho sentito arrivare” si sforzò di sorridere. Si chiese quanto del suo monologo avesse sentito, ma l’espressione dell’uomo la fece ben sperare. “Ma non dovevi sdraiarti un po’?” chiese rimettendo a posto la mela.
“Si, ma non mi andava di lasciarti sola, dopo quello spavento” sorrise, allungò il braccio per afferrare la mela che la ragazza aveva posato, la lavò sotto l’acqua corrente e ci diede un morso secco. Sara fissava i movimenti del padre con attenzione e la sua mente continuava a vacillare incapace di darsi una risposta. Decise che ora non era più il momento, prese un coltello da cucina da un cassetto ed alcuni pomodori maturi dal frigo: “Insalata e bistecca?” chiese sorridente.
“Perfetto, per me al sangue” rispose l’uomo andando ad accomodarsi sul divano. Gli sorrise d’istinto, ma la risposta di suo padre le sarebbe rimbalzata in testa per molte ore.


Il sole era tramontato da alcuni minuti, dopo il pranzo Sara ed il padre andarono a coricarsi nelle rispettive stanze, ma nessuno dei due sembrava essersi addormentato. Sara rimase sdraiata sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, mister Booh stretto al petto e l’orecchio teso pronto a captare ogni singolo rumore. Sospirò, non amava particolarmente quel tipo di tensione, scostò il pupazzo e si sedette sul letto a gambe incrociate. Aveva le idee molto confuse. Era ormai certo che il padre le stava nascondendo qualcosa di grosso che riguardava la sua natura, ma era anche vero che non era mai successo che lui l’avesse aggredita, eppure nei tanti romanzi di mostri e vampiri, essi attaccano gli umani ed allora perché lei era ancora viva? Pensare che suo padre fosse diverso da quelli della sua specie era comodo, ma non propriamente possibile. Si alzò dal letto diretta alla scrivania, prese un foglietto di carta ed una matita ed iniziò a scrivere:


*Vampiri: Non escono di giorno. 
-Papà: si anche se di rado.                                         

*Vampiri: Non hanno bisogno di dormire.
-Papà: Non so se dorme.

*Vampiri: Si nutrono di sangue.                      
-Papà: Lui mangia di tutto.

*Vampiri: Sono gelidi al tatto.
-Papà: anche lui.

*Vampiri: Sono non-morti.
-Papà: Non ha battito cardiaco,  è quindi un non                    morto?

*Vampiri: Hanno paura delle croci.
-Papà: Abbiamo un croficisso in casa.

*Vampiri: Non mangiano l'aglio.
-Papà: nota se lo metto nel cibo, ma lo mangia.

                                 
Si bloccò scuotendo il capo sorridente. Quello che stava facendo era decisamente stupido. Alla fine cosa ne sapeva lei davvero dei vampiri? Se si guarda la realtà dei fatti, non c’è nessuna prova tangibile della loro esistenza, l’unico essere umano dichiarato vampiro per la sua estrema malvagità e la sua innata sete di sangue era Vlad l’impalatore, ma era chiaro che quell’uomo non poteva davvero essere una creatura della notte, quindi in sostanza, tutto ciò che di solito si sa sui vampiri sono solo fantasticherie di persone vissute prima di lei. Sospirò, si sentiva a disagio dinnanzi alla sua impotenza. Con la matita cerchiò il quinto punto: “Non ha battito cardiaco, è quindi un non-morto?”. Fissò allungo quella frase, quasi si aspettasse che magicamente il foglio le potesse dare una risposta. “Forse non è corretto dire che non c’è battito” mormorò picchiettando con la punta della mina all’interno del cerchio, “magari i vestiti ne ovattano il suono ed io non riesco a percepirlo” concluse posando il mento sulla mano aperta. Prese il foglio, l’appallottolò e lo lanciò nel cestino dei rifiuti centrando un canestro perfetto, poi si lascio andare indietro con la schiena appoggiata allo schienale della sedia facendola ben scricchiolare.
“Mio padre un vampiro” mormorò fissando il soffitto, “ma non scherziamo!” scattò in piedi. “Però…” mormorò e la mente ritornò indietro nel tempo a quella fatidica notte, quando aveva visto suo padre nutrirsi di un altro essere umano. Si portò una mano alla bocca. Improvvisamente non si sentiva più sicura, “ma era davvero lui?” si chiese. Provò a mettere a fuoco la scena, ma nella sua testa era tutto molto confuso, c’era qualcosa che non andava in lei, ma non riusciva ad afferrare cosa. Lanciò uno sguardo all’orologio a muro della stanza che segnava le 18:21. Suo padre doveva essere ancora nella sua stanza che riposava, perché le creature come lui riposano di giorno e vagano per le strade di notte. Si morse il labbro, fino a staccare un leggero strato di pellicina secca, non poteva più aspettare. Uscì di corsa dalla sua stanza diretta a quella dove stava riposando l’uomo, era arrivato il momento che lui rispondesse ad alcune domande.
Esitò dinnanzi alla parta alcuni secondi, fece un respiro profondo e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò nuovamente con più forza: “Papà, posso parlarti?” chiese.
Nessuna risposta.
“Papà? Papà sto entrando” avvisò aprendo la porta lentamente e spiando al suo interno con timore. La stanza era poco illuminata, la finestra spalancata con le tende che ondeggiavano al vento ed il letto vuoto.


 “Sapevo che ci saremo rivisti, ma non così presto” mormorò Craulad seduto alla scrivania del suo posto di lavoro come medico addetto all’infermeria del liceo K.
“Cosa le hai fatto?” chiese Karl digrignando i denti.
L’altro si alzò, mettendo le mani nelle tasche del camice, gli si parò dinnanzi fissandolo dritto negli occhi color rubino: “hai fame Karl? I tuoi occhi sembrano bramare il mio sangue, è così?” chiese con un ghigno.
“Rispondi alla mia domanda” ribatté l’altro cercando di mantenere la calma.
“Va bene, ma non qui”. Detto questo il dottore aprì la porta dell’infermeria, “andiamo sul tetto” concluse avviandosi. L’altro lo seguì senza fiatare.

Il tetto della scuola, così come il resto della struttura era deserto, ormai tutti gli studenti, anche quelli impegnati coi club avevano fatto ritorno a casa e questo rincuorò Karl, non era certo andato li per combattere, ma in caso di conflitto, la certezza che non avrebbe coinvolto persone innocenti lo tranquillizzava, l’altro lo precedeva di alcuni passi, estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del camice “vuoi?” gli chiese voltandosi mentre saliva le scale. L’altro scosse il capo perplesso, un vampiro che fumava? Pensava di averle viste ormai tutte, ma evidentemente con quell’uomo non c’era limite all’ambiguità. L’altro fece spallucce, estrasse una sigaretta dal pacchetto, la posizionò tra le sottili labbra e l’accese incurante che si trovasse ancora all’interno dei corridoi scolastici dove era vietato fumare.
Varcarono la porta della terrazza, il vento mite tipico dell’autunno scompigliò le loro chiome, la biondo platino di Craulad e la bruna di Karl. Nessuno dei due aveva ancora iniziato a parlare, rimasero allungo in silenzio a scrutarsi pronti ad agire in caso di aggressione. Il primo a parlare fu Craulad: “allora?” chiese inspirando dalla sigaretta, “vorrei andare a casa, qui non pagano gli straordinari” ghignò. Parlava come un umano, fumava come un umano, ma più che vivere una vita mortale, sembrava si stesse divertendo ad interpretarne il ruolo. Karl lo fissò silenzioso. Gli occhi color rubino fermi sulla sua presunta preda.
“Stai letteralmente morendo di fame, eh?” sorrise il dottore, “hai un bocconcino così appetitoso che ti gira per casa e ti ostini a non addentarlo, sei proprio strano. Cosa aspetti a farla diventare una di noi?” chiese espirando.
“Lei non sarà mai una di noi!” rispose l’altro stringendo i pugni, se avesse avuto un cuore, probabilmente in quel momento gli sarebbe arrivato in gola per l’agitazione. Non poteva farci nulla, temeva Craulad più di qualsiasi altra cosa al mondo. Gli aveva visto uccidere troppe persone per non sapere che uno scontro con lui gli sarebbe potuto anche essergli fatale. Strinse ancor più forte i pugni, mentre il suo sguardo non si spostava di un millimetro.
“Bla bla bla” rise l’uomo col camice, “sempre la solita solfa, cambia strofa che è meglio!” scattò alzando la voce, l’altro fece istintivamente un passo indietro. “Sono anni che mi dici la stessa cosa, ma io non sono più disposto ad aspettare. Lei ora è nel fiore dei suoi anni e resterà bella per l’eternità, non sei felice?” riprese il professore sfoderando il solito ghigno.
“Te l’ho già detto, lei non…” stava per concludere la frase quando l’uomo dinnanzi a lui, con uno scatto fulmineo lo colpì violentemente al petto penetrandolo. Le parole gli si stroncarono in gola, uno schizzo di sangue uscì con violenza dalla bocca, gli occhi sgranati alla disperata ricerca di ossigeno.
“Anche se non batte” prese a dire l’uomo continuando a tenere la mano nel petto dell’altro, “se il nostro cuore viene distrutto, anche noi moriamo, lo sapevi questo, Karl?” sorrise muovendo la mano all’interno della ferita. L’altro s’accasciò a terra, trascinando con se anche il suo aggressore.
“Oh, eccolo qui!”  gli sussurrò all’orecchio, “ora la tua vita è nelle mie mani, Karl” continuò con sguardo eccitato. L’altro respirava a piene boccate, il viso era ancora più pallido, i capelli stavano di nuovo diventando argentati, mentre gli occhi erano così sgranati che sembravano volessero uscire dalle orbite.
“Non lo farei fossi in te!” l’avvisò Craulad stringendo la morsa intorno all’organo dell’altro che urlò di dolore. “Se ora inizi a trasformarti, significa che accetti la mia sfida e potrei farmi prendere dal panico, capisci? E se ciò dovesse accadere, potrei anche stringere il tuo piccolo, tenero cuoricino ancora più forte fino a farlo esplodere” fece una pausa guardandolo dritto negli occhi” e tu non vuoi morire, vero Karl?” rise sornione. L’altro lo fissava con un disprezzo mai provato prima, era sofferente, ma sapeva bene che non poteva far nulla, Craulad era stato più veloce e spietato, non aveva modo di difendersi, qualsiasi cosa avesse tentato, sarebbe morto prima di portarla a termine. Aveva perso. La sua vita ormai era nella mani di quell’essere sadico. Pensò alla sua Sara, alla sua dolce bambina che ormai non sarebbe più stato in grado di proteggere. Abbassò il capo. Aveva le vertigini, stava per perdere i sensi,  quando l’altro l’afferrò per i capelli alzandogli con forza il capo per poterlo fissare negli occhi: “eh no, Karl! Non è ancora ora di andare nel mondo dei sogni!” concluse estraendo la mano dal petto dell’uomo e lasciandolo cadere a terra. Non capiva perché, ma Craulad l’aveva risparmiato.
“Che seccatura! Mi sono sporcato tutto il camice…” sbuffò fingendosi contrariato, “lo sai quanto costa la tintoria? Senza contare che il sangue è anche difficile da togliere” concluse. L’altro non rispose, era in terra ansimante mentre si teneva con le mani la ferita dolente. L’uomo col camice gli sorrise compiaciuto, la vista del suo rivale in difficoltà gli provava un piacere immenso.
“Questo è il mio regalo per te” urlò spalancando le braccia con onnipotenza, “lo senti ora vero? La tua sete ormai è incontrollabile, dico bene?” rise. Karl sgranò gli occhi, finalmente aveva capito il suo piano malato, indebolendolo avrebbe avuto bisogno di sangue per rigenerare in tempo i tessuti.
“Non sarò io quello che trasformerà la tua preziosa bambina in vampiro, ma tu!” l’indicò. “Nelle tue attuali condizioni, anche se ti nutri di ratti come di tuo solito, non riuscirai mai a riprenderti in fretta da quella ferita mortale, hai bisogno di sangue caldo, di sangue umano. E qui a pochi passi, c’è un bell’esemplare di umana che non vede l’ora di essere morsa da te”.
“Scordatelo! Non lo farò!” urlò con le poche forze rimaste.
“La tua opinione non conta sull’istinto di sopravvivenza di noi vampiri, a breve perderai il controllo” rispose l’altro girandosi di spalle, prese dal taschino un’altra sigaretta e l’accese. Karl lo fissò, i suoi capelli stavano di nuovo cambiando colore, il vampiro che era in lui si stava svegliando. “Ucciderò Sara?” pensò sconcertato, “no!Non succederà mai, io la proteggerò!” continuò cercando di rimettersi in piedi ed un’enorme quantità di sangue gli fuoriuscì dal petto facendolo barcollare. La vista gli si stava appannando, fissava il pavimento ai suoi piedi diventare sempre più offuscato, mentre una rosa di sangue cremisi si spargeva tutt’intorno.
“Se non ti nutri in fretta morirai, Karl” gli suggerì l’altro seduto sulla ringhiera che fungeva da griglia di protezione. Le gambe accavallate, il viso, su cui si estendeva un’espressione compiaciuta, sorretto dal palmo della mano, l’altro, quello ancora sporco di sangue, l’aveva infilato nella tasca del camice.
“Perché?” mormorò Karl, “perché non mi hai ucciso?” urlò disperato. Non voleva attaccare gli umani, da quando era stato trasformato si era sempre nutrito di animali molto piccoli: ratti e gatti randagi per lo più. Ovviamente una simile dieta alimentare non era in grado di mantenere in forze un vampiro adulto come lui, ma per lo meno gli permetteva di sopravvivere e di tenere a bada la sete di sangue che altrimenti, lo avrebbe indotto ad aggredire la sua stessa figlia.
“Perché così è più divertente, ovvio” rispose l’altro inspirando il fumo dalla sigaretta.
Il dolore era sempre più forte, sentiva il suo cuore fremere e la gola diventare sempre più secca. Percepiva tutto molto più nitidamente del solito, sentiva il calore delle persone che passeggiavano ignare a chilometri di distanza da loro, ne sentiva il profumo, persino il battito del loro cuore. Si portò una mano alla bocca: non doveva! Non doveva diventare uno di loro! Non doveva diventare un assassino!
“Sei proprio un rammollito!” sospirò Craulad per poi svanire in una nuvola dorata. L’altro lo guardò andare via, un misto di sollievo e disperazione lo stava stordendo. Ora che Craulad se n’era andato, era al sicuro, ma se in quello stesso istante fosse andato da Sara? Doveva tornare a casa, doveva tornare dalla sua bambina. Fece un paio di passi, ma cadde sulle ginocchia. La sete era insopportabile. I capelli erano quasi completamente bianchi. Gli occhi erano di un rubino scintillante, la sua parte vampiresca stava velocemente emergendo dal suo corpo, a breve non sarebbe stato più in grado di controllarsi. Cercò di concentrarsi, di percepire se ci fossero animali nei dintorni, ma l’istinto dirottava la sua ricerca sempre sugli esseri umani. Un tonfo secco davanti ai suoi piedi lo fece trasalire, abbassò lo sguardo e vide un neonato.
“Ecco, con questo dovresti essere in grado di rigenerarti a dovere” disse Craulad di ritorno. “Non ho certo intenzione di farti morire qui. Cosa aspetti? Mordilo!” concluse appoggiando le spalle alla rete di protezione. Il piccino sembrava addormentato, il viso roseo, le fossette sulle guance leggermente arrossate, la manine chiuse a pugno. Karl lo fissò sconcertato, le mani tremanti protese verso il corpicino erano ferme a mezz’aria. Stava ancora lottando contro la sua stessa natura.
“Po…portalo via!” tuonò ritraendo le braccia. Il viso era segnato da una sofferenza inimmaginabile e dagli occhi iniziarono a sgorgare lacrime di sangue. “Ti prego, non farmi questo!” urlò all’uomo che lo fissava impassibile. L’urlo fece trasalire il piccino che iniziò a piangere disperato.
“Ma guarda, l’hai svegliato!” sorrise.

“No… no…. Portalo via! Portalo viaaaaaaaaaaaaa!!!” urlò tenendo le braccia incrociate sul petto e con le mani si stringeva i fianchi. Craulad si avvicinò, prese il bambino tra le braccia poi, con le unghie recise superficialmente il braccino del piccolo ed alcune gocce di sangue caddero sul pavimento. Karl fissò la scena come se stesse assistendo ad un rituale, era sfinito. L’odore di quel piccolo corpo indifeso l’inebriava. I capelli ormai erano completamente del colore della Luna, sorrise con il viso contratto dal dolore ed ancora rigato di lacrime, abbassò il capo fino al pavimento e leccò quelle poche gocce di sangue che erano cadute dal corpo del neonato che non accennava a smettere di piangere. Il gusto, la forza… il calore di quelle poche gocce gli invasero la gola arsa dalla sete, non aveva mai provato una sensazione del genere, si sentiva rinato. Quelle pochissime gocce, si diramarono all’interno del suo corpo infettandolo come un virus. Ne voleva ancora! Guardò Craulad con avidità, lo voleva! Desiderava quel bambino ed il suo sangue! Si avventò sul piccolo strappandolo dalle braccia del professore che assisteva alla scena compiaciuto. La sua vendetta era solo agli inizi.



Nessun commento:

Posta un commento