RIASSUNTO: Dopo la brutta esperienza della notte scorsa, Sara sembra aver dimenticato tutto, ma una volta a scuola viene colta da un malore e soccorsa da una sua compagna di classe che la porta in infermeria. Li, il professore addetto al primo soccorso, sembra assumere atteggiamenti strani, ma la ragazza non riesce ad opporsi e si addormenta. L'uomo, che si rivela essere una vecchia conoscenza di Karl, il padre di Sara, sembra essere anche lui un vampiro e pare avere un conto in sospeso col padre della giovane che fugge portando con se la figlia, ma arrivato sotto il portico di casa, stramazza al suono sfinito.
“Papà?”.
“Papà!”. L’uomo aprì lentamente
gli occhi e vide il volto della figlia piegato su di lui. L’espressione del viso rigato dalle lacrime era deformata dallo spavento e dall’ansia, mentre con
forza continuava a strattonarlo. Lui non disse nulla, sorrise debolmente
accarezzandole il viso con una mano.
“Cos’è successo, papà?” continuò
lei sconvolta.
“Perdonami, bambina mia” mormorò
a stento, “sono solo un po’ stanco” forzò un sorriso. Provò a rimettersi in
piedi, ma aveva gli arti inferiori indeboliti. Ansimò stringendo i denti. Si
fece aiutare dalla ragazza ed insieme entrarono in casa.
La giovane lo face accomodare nel
divano che avevano in sala, poi corse a prendergli un pò d’acqua. “Tieni, bevi
un goccio d’acqua, ti aiuterà” disse porgendogli il bicchiere. Lui lo prese con
entrambe le mani, ne bevve un sorso sotto lo sguardo amorevole della giovane
che non si staccava dal suo fianco. Aveva commesso una pazzia, aveva rischiato
di sparire per sempre, ma non appena aveva avvertito il pericolo accanto a
Sara, non poté far a meno di precipitarsi. Craulad aveva ragione, le persone
come loro non possono arrischiarsi ad uscire in pieno giorno, la luce non li
uccide, ma gli indebolisce all’inverosimile, soprattutto se poi sono costretti
ad usare i loro poteri sovrannaturali e teletrasportare non solo se stessi, ma
anche altre persone. Rimase in silenzio a fissare il bicchiere vuotato di una
metà. Si chiese se davvero quell’uomo aveva intenzioni serie con Sara, scosse
il capo come a scacciare un simile pensiero, lei stava bene, era con lui ed era
salva. Gli posò una mano sulla spalla: “va meglio?” chiese preoccupata.
Lui sorrise istintivamente:
“certo tesoro, te l’ho detto. È stato solo un piccolo capogiro, capita alla mia
età” rise. Lei rise a sua volta, sollevata, poi sprofondò il volto nel suo petto
ed il silenzio l’avvolse con la sua fredda coperta. Non c’era battito in quel
corpo eppure suo padre era li, le sorrideva, le parlava, le accarezzava la
testa come quando era una bambina. Un brivido la percosse e si strinse ancora
più contro l’uomo, non capiva se si rendesse conto che in quel momento le stava
rivelando la sua vera identità o se invece, era un ottima occasione per farle
sapere come stavano le cose in modo indiretto. “Cosa dovrei fare ora?” si
chiese. “ Dovrei chiedergli: papà scusa, perché non hai battito cardiaco?”
sorrise per l’assurdità del suo pensiero, ma proprio in quel momento lui la
scostò con forza facendola trasalire. I due si guardarono per un breve istante,
gli occhi smarriti di lui si riflettevano in quelli perplessi di lei.
“Scusami, ma ora forse è meglio
se vai a riposare un po’, alla fine tra i due quella che stava male eri tu”
sorrise l’uomo con una punta d’imbarazzo. Lei lo guardava in silenzio, sembrava
aver rimosso il fatto.
“Ma di cosa stai parlando?” gli
chiese. L’uomo tacque ed in quel momento gli venne in mente la frase di Craulad
:”le hai cancellato la memoria, vero?”. Rabbrividì. E se anche Craulad avesse
rimosso i ricordi di quella mattina dalla mente di Sara? Ma a che scopo? Non
l’aveva attaccata, era arrivato in tempo, eppure aveva provveduto a sistemare
le cose.
“Papà?” chiamò perplessa, “sei messo peggio di
quel che pensassi se non ti ricordi” rise, “sei stato tu a chiamare la scuola
dicendo che non stavi bene e chiedendomi di tornare a casa prima, non
ricordi?”.
“Io?”.
“Si, poi quando sono arrivata
sotto il portico di casa, tu eri a terra pallido ed io mi sono spaventata”
concluse lei continuando il racconto. Il padre rimase in silenzio ad
ascoltarla, gli occhi tremolanti per la confusione, la bocca socchiusa. “Cosa
sta succedendo?” si chiese, “che sia davvero opera di Craulad? E perché?”
istintivamente si portò una mano tra i capelli scompigliandoli. Lei lo
raggiunse: “ che c’è?” chiese accigliata. Lui scosse il capo sorridendo, “hai
ragione tesoro, devo essere un po’ confuso” continuò dandole uno sbuffetto
sulla testa, “vado a coricarmi un po’, ci pensi tu al pranzo?” concluse che era
già arrivato vicino alla scalinata che portava alle stanze.
“Certo, c’è qualcosa in
particolare che vorresti mangiare?” sorrise lei.
Lui si voltò: “no, fai tu”
concluse salendo le scale.
Sara rimase in silenzio nel
soggiorno, il sorriso che fino a pochi secondi prima la illuminava era
completamente svanito. Si fissò attentamente le mani ancora tremanti, fece un
gran respiro. Nella sua mente la voce del professor Craulad era ancora vivida e
chiara, non aveva dubbi, era la stessa voce della notte precedente. Non sapeva
bene come, ma aveva riottenuto i ricordi che al risveglio le erano stati
sottratti, ricordava di essere uscita dietro il padre, di essere entrata in
quella struttura buia ancora in costruzione e di essersi nascosta nell’armadio
a muro. Ricordava la voce glaciale dell’uomo che le stava dando la caccia e
quella calda di suo padre, mentre la invitava
ad uscire dal suo nascondiglio. Ricordava il freddo abbraccio con cui suo padre
l’aveva circondata dopo quell’avvenimento, lo stesso che le aveva dato alcuni
minuti fa e, come ogni volta, sapeva che non c’era vita in quell’abbraccio, che
suo padre in realtà era morto tantissimi anni fa e che l’uomo che era con lei,
non era altro che una creatura mostruosa, assetata di sangue. Eppure,
nonostante queste consapevolezze, non riusciva a temerlo. “I vampiri si nutrono
di sangue umano”, pensò ed un brivido la percosse. Ma quando pensava a suo padre,
in primis vedeva l’uomo che l’aveva cresciuta con tanto amore, che la
consigliava, che si prendeva cura di lei quando era ammalata, “come può un
vampiro fare di queste cose?” si chiese. D’istinto si posò una mano sul petto
ad altezza del cuore, sentiva i suoi battiti attraverso i vestiti, secchi e
ritmati, percepiva il tepore della sua pelle. Rimase in silenzio, il capo
chino. “Cosa devo fare?” si chiese smarrita. “Mio padre è un vampiro, il mio
professore è anche lui probabilmente un vampiro, i posti che per me dovrebbero
essere i più sicuri: casa e scuola, sono quelli dove le minacce sono più
evidenti, eppure se il professor Craulad avesse voluto attaccarmi, di occasioni
ne avrebbe avute a centinaia, ma non l’ha mai fatto. Perché?” si chiese corrugando
la fronte. Prese un bicchiere dalla mensola, lo riempì di un metà e bevve acqua a grandi sorsate. Si
sentiva la testa confusa e la gola terribilmente secca. Lo sguardo si posò
infine su della frutta messa composta in una cesta: “cibo” pensò. “Mio padre
mangia la roba che gli cucino!” s’illuminò, “non può essere una vampiro, i
vampiri non mangiano il cibo degli umani!” esclamò afferrando una mela
sorridente.
“Chi non mangia cosa?” si sentì
chiedere. La voce proveniva dalle sue spalle, si voltò di scatto spaventata e
suo padre era li, davanti a lei, col suo solito sorriso gentile e gli occhiali
leggermente caduti sul naso.
“Papà, non ti ho sentito
arrivare” si sforzò di sorridere. Si chiese quanto del suo monologo avesse
sentito, ma l’espressione dell’uomo la fece ben sperare. “Ma non dovevi
sdraiarti un po’?” chiese rimettendo a posto la mela.
“Si, ma non mi andava di
lasciarti sola, dopo quello spavento” sorrise, allungò il braccio per afferrare
la mela che la ragazza aveva posato, la lavò sotto l’acqua corrente e ci diede
un morso secco. Sara fissava i movimenti del padre con attenzione e la sua
mente continuava a vacillare incapace di darsi una risposta. Decise che ora non
era più il momento, prese un coltello da cucina da un cassetto ed alcuni
pomodori maturi dal frigo: “Insalata e bistecca?” chiese sorridente.
“Perfetto, per me al sangue”
rispose l’uomo andando ad accomodarsi sul divano. Gli sorrise d’istinto, ma la
risposta di suo padre le sarebbe rimbalzata in testa per molte ore.
Il sole era tramontato da alcuni
minuti, dopo il pranzo Sara ed il padre andarono a coricarsi nelle rispettive
stanze, ma nessuno dei due sembrava essersi addormentato. Sara rimase sdraiata
sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, mister Booh stretto al petto e
l’orecchio teso pronto a captare ogni singolo rumore. Sospirò, non amava
particolarmente quel tipo di tensione, scostò il pupazzo e si sedette sul letto
a gambe incrociate. Aveva le idee molto confuse. Era ormai certo che il padre
le stava nascondendo qualcosa di grosso che riguardava la sua natura, ma era
anche vero che non era mai successo che lui l’avesse aggredita, eppure nei
tanti romanzi di mostri e vampiri, essi attaccano gli umani ed allora perché
lei era ancora viva? Pensare che suo padre fosse diverso da quelli della sua
specie era comodo, ma non propriamente possibile. Si alzò dal letto diretta
alla scrivania, prese un foglietto di carta ed una matita ed iniziò a scrivere:
*Vampiri: Non escono di giorno.
-Papà: si anche se di rado.
*Vampiri: Non hanno bisogno di dormire.
-Papà: Non so se dorme.
*Vampiri: Si nutrono di sangue.
-Papà: Lui mangia di tutto.
*Vampiri: Sono gelidi al tatto.
-Papà: anche lui.
*Vampiri: Sono non-morti.
-Papà: Non ha battito cardiaco, è quindi un non morto?
*Vampiri: Hanno paura delle croci.
-Papà: Abbiamo un croficisso in casa.
*Vampiri: Non mangiano l'aglio.
-Papà: nota se lo metto nel cibo, ma lo mangia.
*Vampiri: Non escono di giorno.
-Papà: si anche se di rado.
*Vampiri: Non hanno bisogno di dormire.
-Papà: Non so se dorme.
*Vampiri: Si nutrono di sangue.
-Papà: Lui mangia di tutto.
*Vampiri: Sono gelidi al tatto.
-Papà: anche lui.
*Vampiri: Sono non-morti.
-Papà: Non ha battito cardiaco, è quindi un non morto?
*Vampiri: Hanno paura delle croci.
-Papà: Abbiamo un croficisso in casa.
*Vampiri: Non mangiano l'aglio.
-Papà: nota se lo metto nel cibo, ma lo mangia.
Si bloccò scuotendo il capo
sorridente. Quello che stava facendo era decisamente stupido. Alla fine cosa ne
sapeva lei davvero dei vampiri? Se si guarda la realtà dei fatti, non c’è
nessuna prova tangibile della loro esistenza, l’unico essere umano dichiarato
vampiro per la sua estrema malvagità e la sua innata sete di sangue era Vlad
l’impalatore, ma era chiaro che quell’uomo non poteva davvero essere una
creatura della notte, quindi in sostanza, tutto ciò che di solito si sa sui
vampiri sono solo fantasticherie di persone vissute prima di lei. Sospirò, si
sentiva a disagio dinnanzi alla sua impotenza. Con la matita cerchiò il quinto
punto: “Non ha battito cardiaco, è quindi un non-morto?”. Fissò allungo quella
frase, quasi si aspettasse che magicamente il foglio le potesse dare una
risposta. “Forse non è corretto dire che non c’è battito” mormorò picchiettando
con la punta della mina all’interno del cerchio, “magari i vestiti ne ovattano
il suono ed io non riesco a percepirlo” concluse posando il mento sulla mano
aperta. Prese il foglio, l’appallottolò e lo lanciò nel cestino dei rifiuti
centrando un canestro perfetto, poi si lascio andare indietro con la schiena
appoggiata allo schienale della sedia facendola ben scricchiolare.
“Mio padre un vampiro” mormorò
fissando il soffitto, “ma non scherziamo!” scattò in piedi. “Però…” mormorò e
la mente ritornò indietro nel tempo a quella fatidica notte, quando aveva visto
suo padre nutrirsi di un altro essere umano. Si portò una mano alla bocca.
Improvvisamente non si sentiva più sicura, “ma era davvero lui?” si chiese.
Provò a mettere a fuoco la scena, ma nella sua testa era tutto molto confuso,
c’era qualcosa che non andava in lei, ma non riusciva ad afferrare cosa. Lanciò
uno sguardo all’orologio a muro della stanza che segnava le 18:21. Suo padre
doveva essere ancora nella sua stanza che riposava, perché le creature come lui
riposano di giorno e vagano per le strade di notte. Si morse il labbro, fino a
staccare un leggero strato di pellicina secca, non poteva più aspettare. Uscì
di corsa dalla sua stanza diretta a quella dove stava riposando l’uomo, era
arrivato il momento che lui rispondesse ad alcune domande.
Esitò dinnanzi alla parta alcuni
secondi, fece un respiro profondo e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò nuovamente con più forza:
“Papà, posso parlarti?” chiese.
Nessuna risposta.
“Papà? Papà sto entrando” avvisò
aprendo la porta lentamente e spiando al suo interno con timore. La stanza era poco
illuminata, la finestra spalancata con le tende che ondeggiavano al vento ed il
letto vuoto.
“Sapevo che ci saremo rivisti, ma non così
presto” mormorò Craulad seduto alla scrivania del suo posto di lavoro come
medico addetto all’infermeria del liceo K.
“Cosa le hai fatto?” chiese Karl
digrignando i denti.
L’altro si alzò, mettendo le mani
nelle tasche del camice, gli si parò dinnanzi fissandolo dritto negli occhi
color rubino: “hai fame Karl? I tuoi occhi sembrano bramare il mio sangue, è
così?” chiese con un ghigno.
“Rispondi alla mia domanda”
ribatté l’altro cercando di mantenere la calma.
“Va bene, ma non qui”. Detto
questo il dottore aprì la porta dell’infermeria, “andiamo sul tetto” concluse
avviandosi. L’altro lo seguì senza fiatare.
Il tetto della scuola, così come
il resto della struttura era deserto, ormai tutti gli studenti, anche quelli
impegnati coi club avevano fatto ritorno a casa e questo rincuorò Karl, non era
certo andato li per combattere, ma in caso di conflitto, la certezza che non
avrebbe coinvolto persone innocenti lo tranquillizzava, l’altro lo precedeva di
alcuni passi, estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del camice “vuoi?”
gli chiese voltandosi mentre saliva le scale. L’altro scosse il capo perplesso,
un vampiro che fumava? Pensava di averle viste ormai tutte, ma evidentemente
con quell’uomo non c’era limite all’ambiguità. L’altro fece spallucce, estrasse
una sigaretta dal pacchetto, la posizionò tra le sottili labbra e l’accese
incurante che si trovasse ancora all’interno dei corridoi scolastici dove era
vietato fumare.
Varcarono la porta della
terrazza, il vento mite tipico dell’autunno scompigliò le loro chiome, la
biondo platino di Craulad e la bruna di Karl. Nessuno dei due aveva ancora
iniziato a parlare, rimasero allungo in silenzio a scrutarsi pronti ad agire in
caso di aggressione. Il primo a parlare fu Craulad: “allora?” chiese inspirando
dalla sigaretta, “vorrei andare a casa, qui non pagano gli straordinari”
ghignò. Parlava come un umano, fumava come un umano, ma più che vivere una vita
mortale, sembrava si stesse divertendo ad interpretarne il ruolo. Karl lo fissò
silenzioso. Gli occhi color rubino fermi sulla sua presunta preda.
“Stai letteralmente morendo di
fame, eh?” sorrise il dottore, “hai un bocconcino così appetitoso che ti gira
per casa e ti ostini a non addentarlo, sei proprio strano. Cosa aspetti a farla
diventare una di noi?” chiese espirando.
“Lei non sarà mai una di noi!”
rispose l’altro stringendo i pugni, se avesse avuto un cuore, probabilmente in
quel momento gli sarebbe arrivato in gola per l’agitazione. Non poteva farci
nulla, temeva Craulad più di qualsiasi altra cosa al mondo. Gli aveva visto
uccidere troppe persone per non sapere che uno scontro con lui gli sarebbe
potuto anche essergli fatale. Strinse ancor più forte i pugni, mentre il suo
sguardo non si spostava di un millimetro.
“Bla bla bla” rise l’uomo col
camice, “sempre la solita solfa, cambia strofa che è meglio!” scattò alzando la
voce, l’altro fece istintivamente un passo indietro. “Sono anni che mi dici la
stessa cosa, ma io non sono più disposto ad aspettare. Lei ora è nel fiore dei
suoi anni e resterà bella per l’eternità, non sei felice?” riprese il
professore sfoderando il solito ghigno.
“Te l’ho già detto, lei non…”
stava per concludere la frase quando l’uomo dinnanzi a lui, con uno scatto fulmineo
lo colpì violentemente al petto penetrandolo. Le parole gli si stroncarono in
gola, uno schizzo di sangue uscì con violenza dalla bocca, gli occhi sgranati
alla disperata ricerca di ossigeno.
“Anche se non batte” prese a dire
l’uomo continuando a tenere la mano nel petto dell’altro, “se il nostro cuore
viene distrutto, anche noi moriamo, lo sapevi questo, Karl?” sorrise muovendo
la mano all’interno della ferita. L’altro s’accasciò a terra, trascinando con
se anche il suo aggressore.
“Oh, eccolo qui!” gli sussurrò all’orecchio, “ora la tua vita è
nelle mie mani, Karl” continuò con sguardo eccitato. L’altro respirava a piene
boccate, il viso era ancora più pallido, i capelli stavano di nuovo diventando
argentati, mentre gli occhi erano così sgranati che sembravano volessero uscire
dalle orbite.
“Non lo farei fossi in te!”
l’avvisò Craulad stringendo la morsa intorno all’organo dell’altro che urlò di
dolore. “Se ora inizi a trasformarti, significa che accetti la mia sfida e
potrei farmi prendere dal panico, capisci? E se ciò dovesse accadere, potrei
anche stringere il tuo piccolo, tenero cuoricino ancora più forte fino a farlo
esplodere” fece una pausa guardandolo dritto negli occhi” e tu non vuoi morire,
vero Karl?” rise sornione. L’altro lo fissava con un disprezzo mai provato
prima, era sofferente, ma sapeva bene che non poteva far nulla, Craulad era
stato più veloce e spietato, non aveva modo di difendersi, qualsiasi cosa
avesse tentato, sarebbe morto prima di portarla a termine. Aveva perso. La sua
vita ormai era nella mani di quell’essere sadico. Pensò alla sua Sara, alla sua
dolce bambina che ormai non sarebbe più stato in grado di proteggere. Abbassò
il capo. Aveva le vertigini, stava per perdere i sensi, quando l’altro l’afferrò per i capelli alzandogli
con forza il capo per poterlo fissare negli occhi: “eh no, Karl! Non è ancora
ora di andare nel mondo dei sogni!” concluse estraendo la mano dal petto
dell’uomo e lasciandolo cadere a terra. Non capiva perché, ma Craulad l’aveva
risparmiato.
“Che seccatura! Mi sono sporcato tutto
il camice…” sbuffò fingendosi contrariato, “lo sai quanto costa la tintoria?
Senza contare che il sangue è anche difficile da togliere” concluse. L’altro
non rispose, era in terra ansimante mentre si teneva con le mani la ferita
dolente. L’uomo col camice gli sorrise compiaciuto, la vista del suo rivale in
difficoltà gli provava un piacere immenso.
“Questo è il mio regalo per te” urlò
spalancando le braccia con onnipotenza, “lo senti ora vero? La tua sete ormai è
incontrollabile, dico bene?” rise. Karl sgranò gli occhi, finalmente aveva
capito il suo piano malato, indebolendolo avrebbe avuto bisogno di sangue per
rigenerare in tempo i tessuti.
“Non sarò io quello che
trasformerà la tua preziosa bambina in vampiro, ma tu!” l’indicò. “Nelle tue
attuali condizioni, anche se ti nutri di ratti come di tuo solito, non
riuscirai mai a riprenderti in fretta da quella ferita mortale, hai bisogno di
sangue caldo, di sangue umano. E qui a pochi passi, c’è un bell’esemplare di
umana che non vede l’ora di essere morsa da te”.
“Scordatelo! Non lo farò!” urlò
con le poche forze rimaste.
“La tua opinione non conta
sull’istinto di sopravvivenza di noi vampiri, a breve perderai il controllo”
rispose l’altro girandosi di spalle, prese dal taschino un’altra sigaretta e
l’accese. Karl lo fissò, i suoi capelli stavano di nuovo cambiando colore, il
vampiro che era in lui si stava svegliando. “Ucciderò Sara?” pensò sconcertato,
“no!Non succederà mai, io la proteggerò!” continuò cercando di rimettersi in
piedi ed un’enorme quantità di sangue gli fuoriuscì dal petto facendolo
barcollare. La vista gli si stava appannando, fissava il pavimento ai suoi
piedi diventare sempre più offuscato, mentre una rosa di sangue cremisi si
spargeva tutt’intorno.
“Se non ti nutri in fretta
morirai, Karl” gli suggerì l’altro seduto sulla ringhiera che fungeva da
griglia di protezione. Le gambe accavallate, il viso, su cui si estendeva
un’espressione compiaciuta, sorretto dal palmo della mano, l’altro, quello
ancora sporco di sangue, l’aveva infilato nella tasca del camice.
“Perché?” mormorò Karl, “perché
non mi hai ucciso?” urlò disperato. Non voleva attaccare gli umani, da quando
era stato trasformato si era sempre nutrito di animali molto piccoli: ratti e
gatti randagi per lo più. Ovviamente una simile dieta alimentare non era in
grado di mantenere in forze un vampiro adulto come lui, ma per lo meno gli
permetteva di sopravvivere e di tenere a bada la sete di sangue che altrimenti,
lo avrebbe indotto ad aggredire la sua stessa figlia.
“Perché così è più divertente,
ovvio” rispose l’altro inspirando il fumo dalla sigaretta.
Il dolore era sempre più forte,
sentiva il suo cuore fremere e la gola diventare sempre più secca. Percepiva
tutto molto più nitidamente del solito, sentiva il calore delle persone che
passeggiavano ignare a chilometri di distanza da loro, ne sentiva il profumo,
persino il battito del loro cuore. Si portò una mano alla bocca: non doveva!
Non doveva diventare uno di loro! Non doveva diventare un assassino!
“Sei proprio un rammollito!”
sospirò Craulad per poi svanire in una nuvola dorata. L’altro lo guardò andare
via, un misto di sollievo e disperazione lo stava stordendo. Ora che Craulad se
n’era andato, era al sicuro, ma se in quello stesso istante fosse andato da
Sara? Doveva tornare a casa, doveva tornare dalla sua bambina. Fece un paio di
passi, ma cadde sulle ginocchia. La sete era insopportabile. I capelli erano quasi
completamente bianchi. Gli occhi erano di un rubino scintillante, la sua parte
vampiresca stava velocemente emergendo dal suo corpo, a breve non sarebbe stato
più in grado di controllarsi. Cercò di concentrarsi, di percepire se ci fossero
animali nei dintorni, ma l’istinto dirottava la sua ricerca sempre sugli esseri
umani. Un tonfo secco davanti ai suoi piedi lo fece trasalire, abbassò lo
sguardo e vide un neonato.
“Ecco, con questo dovresti essere
in grado di rigenerarti a dovere” disse Craulad di ritorno. “Non ho certo
intenzione di farti morire qui. Cosa aspetti? Mordilo!” concluse appoggiando le
spalle alla rete di protezione. Il piccino sembrava addormentato, il viso
roseo, le fossette sulle guance leggermente arrossate, la manine chiuse a pugno.
Karl lo fissò sconcertato, le mani tremanti protese verso il corpicino erano
ferme a mezz’aria. Stava ancora lottando contro la sua stessa natura.
“Po…portalo via!” tuonò ritraendo
le braccia. Il viso era segnato da una sofferenza inimmaginabile e dagli occhi
iniziarono a sgorgare lacrime di sangue. “Ti prego, non farmi questo!” urlò
all’uomo che lo fissava impassibile. L’urlo fece trasalire il piccino che
iniziò a piangere disperato.
“Ma guarda, l’hai svegliato!”
sorrise.
“No… no…. Portalo via! Portalo viaaaaaaaaaaaaa!!!”
urlò tenendo le braccia incrociate sul petto e con le mani si stringeva i
fianchi. Craulad si avvicinò, prese il bambino tra le braccia poi, con le
unghie recise superficialmente il braccino del piccolo ed alcune gocce di
sangue caddero sul pavimento. Karl fissò la scena come se stesse assistendo ad
un rituale, era sfinito. L’odore di quel piccolo corpo indifeso l’inebriava. I
capelli ormai erano completamente del colore della Luna, sorrise con il viso
contratto dal dolore ed ancora rigato di lacrime, abbassò il capo fino al
pavimento e leccò quelle poche gocce di sangue che erano cadute dal corpo del neonato
che non accennava a smettere di piangere. Il gusto, la forza… il calore di
quelle poche gocce gli invasero la gola arsa dalla sete, non aveva mai provato
una sensazione del genere, si sentiva rinato. Quelle pochissime gocce, si
diramarono all’interno del suo corpo infettandolo come un virus. Ne voleva
ancora! Guardò Craulad con avidità, lo voleva! Desiderava quel bambino ed il
suo sangue! Si avventò sul piccolo strappandolo dalle braccia del professore
che assisteva alla scena compiaciuto. La sua vendetta era solo agli inizi.
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